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Il Venerdì di Repubblica

A Bolgheri si alzano i calici. E i prezzi … Negli anni Quaranta un marchese decise di portare un pezzo di Francia in Toscana. Ogni settantadue aziende festeggiano 160 milioni di fatturato. In appena tredici chilometri quadrati… Parte tutto da un esperimento: portare un pezzo di Francia in Italia. Più nel dettaglio: vitigni francesi, il cabernet sauvignon, nelle colline toscane che dalla rocca di Castiglioncello di Bolgheri, provincia di Livorno, si spingono verso il mare. Di certo, negli anni Quaranta, il marchese Mario Incisa della Rocchetta mai avrebbe pensato che 80 anni dopo, da questo tentativo sarebbe nata una piccola ma pregiatissima realtà del panorama enologico italiano, quella di Bolgheri, che porta in Italia e nel mondo alcuni dei vini migliori della nostra produzione, il Sassicaia in primis. Un’eccellenza che - stando ai numeri del Consorzio nato nel 1995 e che oggi tutelai vini Doc Bolgheri e Doc Bolgheri Sassicaia – vale circa 160 milioni di fatturato, 7 milioni di bottiglie l’anno e 72 aziende coinvolte con appena 1.370 ettari a denominazione. Una ricchezza iper-concentrata in 13 chilometri quadrati, un decimo della superficie di Milano. Il territorio ha fatto la sua parte più per qualità che per quantità. Dalla vicinanza al mare, con effetti mitigatori sul clima, alla straordinaria varietà dei suoli che ha consentito pur in un’area molto piccola, di piantare diversi tipi di vitigni. E in particolare cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot, uve francesi che mai nessuno aveva pensato di impiantare stabilmente in Italia. La prima tenuta. La storia è lunga e complessa, la ripercorre fin dalle origini Bolgheri - Le persone dietro il vino (Paesi Edizioni), volume da poco pubblicato e curato da Luciano Tirinnanzi che racconta le singole storie dei vigneti che oggi sono parte del Consorzio. Il primo e il più famoso, intreccio di famiglie come di uve, è quello da cui l’intera storia dei vini di Bolgheri è discesa: Tenuta San Guido. La prima unione fruttuosa è proprio quella tra il marchese Incisa della Rocchetta, appassionato e studioso di agraria con idee visionarie per il tempo e la contessa Clarice della Gherardesca. È nei terreni della moglie che il marchese compie i suoi esperimenti, portando i vitigni francesi sulle colline toscane e poi tenendo a battesimo il primo Sassicaia. Ma il vino, composto all’80 per cento da cabernet sauvignon, fino al 1967 è servito soltanto a familiari e amici. Servono altri quattro anni prima che esca dalla tenuta, anche grazie alla visione imprenditoriale del figlio Nicolò. E un successo mondiale. Nel 1978, la consacrazione, quando la rivista Decanter, punto di riferimento del settore, pubblica una degustazione comparata di cabernet da tutto il mondo, collocando il Sassicaia al primo posto davanti a tutti i rivali francesi. Da sola, oggi, Tenuta San Guido vale circa il 14 per cento del totale di tutte le bottiglie che escono ogni anno dal Consorzio e nel 2022 il Liv-ex Power 100, riferimento mondiale degli indici di pregio ha collocato il Sassicaia al primo posto tra i vini italiani. Valore in crescita.  Non sono solo classifiche internazionali e addetti ai lavori a collocare i vini di Bolgheri nella fascia più alta della produzione italiana, ma anche il li stino prezzi. “Bolgheri oggi è a livello nazionale la denominazione con il valore più alto all’origine della bottiglia”, spiega il direttore del Consorzio Riccardo Binda. “Il valore è in media tra i 20,50 e i 21 euro a bottiglia. In assoluto il più alto che c’è in Italia”. Si parla però del prezzo a cui il vino esce dalla cantina e che non include quindi i margini che i vari rivenditori applicano al consumatore finale. Cifra che comunque posiziona, come detto, i vini in una fascia altissima. Basti pensare che nella grande distribuzione, secondo la società di ricerche Circana, il prezzo medio peri i vini Docg si attesta intorno a 5,70 euro a bottiglia. A sostenere le quotazioni contribuisce anche la scelta di mantenere chiusa la denominazione. Cioè, di fatto nessuno, a parte le aziende già esistenti, può produrre i vini di Bolgheri a meno di rilevare una delle stesse aziende. Una scelta analoga, quella della denominazione chiusa, adottata ad esempio da un altro pezzo da novanta della produzione enologica italiana, il Brunello di Montalcino. “In questo modo l'offerta rimane costante e con la domanda in continua crescita i prezzi sono destinati a salire”, spiega Binda. Affari di famiglia.  C’è un po' di tutto nella galassia dei produttori. Antiche famiglie nobiliari, giovani imprenditori con tenute più piccole, e realtà cento per cento “rosa”, come Donne Fittipaldi, l’azienda creata da Maria Fittipaldi Menarini, discendente del fondatore dell’azienda farmaceutica omonima, che oggi insieme alle 4 figlie Carlotta, Giulia, Serena e Valentina produce 70 mila bottiglie l’anno con 6 etichette diverse. “Quando ho comprato questa villa”, racconta nel volume dedicato ai produttori, “c’erano soltanto ulivi secolari e vigne senza vita. Ricordo di avere pensato: “Pazienza, tanto noi non faremo mai vino”. Sembra paradossale raccontarlo oggi, ma all’epoca eravamo del tutto astemie”. Pur con numeri in crescita, i dati del Consorzio mostrano un quasi sostanziale pareggio tra export e mercato domestico. “Fuori dall’Italia il primo Paese di riferimento sono gli Stati Uniti, con il 13-14 per cento delle esportazioni, il secondo è la Svizzera”, spiega ancora il direttore del Consorzio Riccardo Binda. Ora, per il Consorzio l’obiettivo è tenere alto il livello della propria eccellenza. “Bolgheri è una realtà felicissima nel panorama italiano e in quello internazionale. La vera sfida per il futuro è non mettere a rischio il capitale di esperienza e di valore che i produttori hanno raccolto in questi 25-30 anni e assicurarsi di restare su questa strada: massima qualità senza compromessi”.

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