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Il Venerdi Di Repubblica

In vino veritas: confronto tra un figlio modello e un padre “esagerato” ... Il lato sobrio di Roberto Cavalli è il suo secondogenito Tommaso, che vive in campagna. Insieme producono un rosso da collezione. E qui svelano: lo stilista che ha fatto dell’eccesso la sua cifra ha un’altra faccia. Sorprendente... Che Cavalli si mascheri per Halloween da Karl Lagerfeld è una notizia che diverte ma non stupisce. Dalla Jacuzzi sul gommone in Costa Smeralda fino alla festa felliniana di Roma per il lancio di Cavalli H&M, il designer fiorentino ormai ha fatto dell’eccesso la sua cifra. La vera sorpresa di Roberto Cavalli, però, si chiama Tommaso ed è il secondogenito dello stilista, nato dal matrimonio con la prima moglie Silvanella. Un giovane uomo che vive tranquillo, schivo come un dottore di paese, serio come un seminarista, in mezzo alle vigne, ai cavalli, con la sua famiglia, nel cuore del Chianti, a Panzano, in una tenuta vicino a Firenze che definire strepitosa è poco. Qualche traccia di estetica paterna qui e là si trova pure in casa sua, e i piatti nei quali si mangia sono quelli griffati Cavalli, ma il suo orizzonte si misura con la pace delle colline e la celebrità non è tra i suoi obiettivi. Tommaso, con il mondo del padre non c’entra proprio nulla. Più che con star capricciose, ha a che fare con i capricci della natura, visto che di professione alleva cavalli trottatori. Più che l’amore per le stampe e per i tessuti, dal padre ha ereditato la passione per la terra e la natura, per questo pezzo incantevole della campagna toscana in cui vive con la moglie Doroty e le sue due bambine, Ester di quattro anni e Sara, di tre mesi. La tenuta che, tanto per restare nello standard di Cavalli padre, si chiama Tenuta degli Dei, la comprò Roberto, negli anni Settanta, quando, sperimentando in azienda, inventava cose inedite sulla pelle e la sua immagine di oggi con il sigaro, l’abbronzatura perenne e il look total black non esisteva ancora.
“A quei tempi ero un cowboy artista molto schivo e solitario” racconta lo stilista, che ha 67 anni. “In quella tenuta portavo Tommaso, a sei anni andava già a cavallo e da adolescente, finita la scuola, invece di venire in fabbrica da me, preferiva andare in campagna. Una scelta che gli imponevo io perché non volevo che durante i mesi estivi gironzolasse senza far niente”.
A 39 anni Tommaso, dopo aver tolto le vigne per costruire recinti per cavalli e, dopo aver trasformato l’hobby di suo padre in un’attività imprenditoriale (“da quando c’è lui” dice Roberto “fattrici e stalloni sono diventati tutti dei fenomeni”) ha deciso di gettarsi nell’avventura del vino. La bottiglia firmata Cavalli è un trionfo, moderato, dello stile che ha reso celebre il padre. Ma sui nome da darle c’è stato un grande dibattito familiare.
“Io mi rivolgo a un mercato molto tradizionale” spiega Tommaso, accento fiorentino marcato e modi pacati, “dove conta più la qualità del brand. Mi confronto con un mondo che, anzi, può guardare con terrore una bottiglia firmata da un designer di moda. All’inizio pensavo, come da tradizione, di dare il nome del territorio”.
“Un’idea sbagliata” tuona Roberto con il vocione da fumatore. “A un certo punto voleva chiamarlo Via Vinta, dal nome della strada in cui abito io a Firenze. Il nome di un martire. Ma dagli il mio, gli ho detto”.
“Alla fine mi sono un po’ sottomesso e ho deciso per Cavalli, ma senza Roberto”, ammette Tommaso. E il padre: “Siamo molto diversi, ma anche lui, come me, cerca di non essere banale. Questo vino ne è la dimostrazione. Sono molto orgoglioso di lui”.
Che padre è Roberto Cavalli?
Tommaso: “Severo. A 14 anni, quando volevo il motorino, mi disse che dovevo guadagnarmelo andando a lavorare in fabbrica da lui. Mi ha insegnato il senso del dovere, il conquistarsi le cose col sudore. Come ha fatto lui. Suo padre è morto quando aveva quattro anni... Forse questa rigidità con i figli avuti da Eva non l’ha avuta”.
Roberto: “Ha ragione. Con gli altri figli, forse per il fatto che i tempi erano cambiati, non sono stato così austero. Con la madre di Tommaso non è durata a lungo: ci siamo separati dopo pochi anni di matrimonio e io non volevo accattivarmi l’affetto dei figli con i regali. Forse a Tommi e a sua sorella ho insegnato di più che agli altri. Tommaso si è guadagnato tutto. Quando era fidanzato con Doroty gli dicevo: “Prendi la Ferrari, ne ho tre, e fatti una scorrazzata fino a Monte Carlo”. Non l’ha mai toccata. Mi ha sempre detto: “Arriverò a guidarla quando me la sarò sudata”. Da quella frase ho capito che forse avevo esagerato”.
Roberto, con Eva - da cui ha avuto altri tre figli, di cui uno, Daniele, fa lo stilista - è iniziata la corsa verso la celebrità.
“È a lei che dedico il mio successo. Negli anni Settanta, quando già sfilavo con i grandi, avevo il mio elicotterino, le case, tutto ciò che mi rendeva felice. Quella libertà fatta di cavalli e mare che Tommaso conosce bene, il treno per il grande successo non l’ho voluto prendere. Nel ‘96, quando lanciai i famosi jeans stretch, ho visto una tale eccitazione negli occhi di Eva che ho detto: “Questa volta sul treno ci salgo””.
Tommaso, che effetto le fa vedere suo padre in corsa su questo treno?
“Avendo vissuto la fase precedente dell’anonimato, tuttora mi sorprende quando sono in giro con lui e gli chiedono l’autografo. Per me mio padre era quello delle vacanze selvagge in barca. Anche se da due anni viene con noi a cavallo...”.
Roberto: “Zitto! La gente mi vuole così, festaiolo. Quando vado con Tommaso nei posti e mi sento assalito, mi attacco a lui, lui mi protegge. Senza togliere nulla agli altri, sarà Tommaso il bastone della mia vecchiaia. Perché ha questo aspetto austero, questi pochi capelli che io adoro perché mi ricordano mio padre. È morto ammazzato dai tedeschi, lavorava come geometra in miniera. Io sono cresciuto per strada”.
Le dispiace che suo figlio non abbia scelto la moda?
Roberto: “Ho sempre pensato che più che un grande designer volevo essere un grande padre. E che ognuno debba avere la libertà di seguire i propri sogni”.
Tommaso: “Ho preferito trovare la mia strada. E poi, lavorare con lui non è così facile: quello che dice lui va bene, quello che dicono gli altri no. È un accentratore e questa è la sua forza”. Roberto: “È vero, ho proprio un caratteraccio”.

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