02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)

Il Venerdi’ Di Repubblica

Vacanze con gusto ... Viaggio nei tesori che trasformano il Belpaese in Buonpaese... Se la crisi impone vacanze mordi e fuggi, tanto vale mordere bene. In senso letterale. Se, nell’Italia dei tempi bui, quelli alimentari sono gli unici consumi a non subire flessioni durante feste comandate, facciamo che queste ferie d’agosto 2009 confermino la tendenza con scienza e coscienza. E che i souvenir non siano gondole o palle di neve ma i prodotti di quella sterminata dispensa di sapori remoti e sorprendenti che è il Buonpaese. In questa ricognizione ci guida Carlin Petrini, presidente e fondatore di Slow Food, l’associazione che, dal 1986, rieduca al gusto, difende la biodiversità e combatte l’omologazione. Dai campi alla tavola.

Carlin è uno che s’infervora, anzi, per dirla tutta, s’incazza. Soprattutto quando si parla di identità dei luoghi, categoria dello spirito che insieme a storia, geografia, arte, paesaggio, costumi, poggia su altri due pilastri della saggezza: il mangiare e il bere. Il cotto e il crudo, per dirla con Lévi-Strauss. “Dal 1990 l’Italia è stata cementificata per una superficie pari a Lazio e Abruzzo messi insieme” brontola, “la fisionomia dei borghi è stravolta, nei centri storici non ci sono più botteghe
alimentari e artigiane ma si vendono solo stracci, la periferia di Agrigento è uguale a quella di Porto Marghera. Tutto cancellato. Può succedere anche al cibo, e quindi alla fortissima componente identitaria che nei secoli si è sedimentata negli infiniti modi di produrlo, preservarlo, conservarlo, cucinarlo e assaporarlo”.

Insomma, l’ultimo baluardo.

“Sì, ma non arroccamento, perché non può esserci identità senza scambio, pensiamo alla bagna cauda piemontese che non esisterebbe senza le acciughe e l’olio liguri. Moltissimi prodotti della nostra gastronomia nascono in territori di confine, quasi sempre collegati ai porti. Evidentemente, l’argomento è complesso, e chi si avventura in questa perlustrazione dovrebbe farlo con uguale passione e sentimento di chi va in cerca di pievi romaniche e opere d’arte millenarie. Certi sapori e prodotti sono altrettanto antichi e una statua di marmo è più resistente del savoir faire delle poche donne che hanno ancora nelle mani la sensibilità per tirare la sfoglia di un tortello a regola d’arte. Quindi, cercate l’umanità dietro ai prodotti: non accontentatevi di trovare il ciauscolo, rintracciate chi lo fa, chiedetegli se
l’ha imparato dal padre, da dove viene la tradizione”.

Più che vacanza, un’indagine.

“Le faccio un altro esempio. Se trova un mulino, a pietra vuol dire che le mole di pietra ci sono ancora, ma, con l’uso, la mola si leviga e ci vuole qualcuno che conosca il metodo per scalpellarla come si deve: qui cominciano i guai. Lo vede che il fattore umano è fondamentale?”.

Rientra nel fattore umano anche il diffuso fiorire di gastronomi dell’utim’ora, cresciuti con il prosciutto in busta del supermercato, che pontificano di bouquet, tessitura e retrogusto?

“Se c’è buona fede, do per scontato che si attraversi un limbo di presunzione e pressappochismo. Gastronomi si diventa e, mancando da noi le strutture formative, devi muoverti da autodidatta: anch’io all’inizio ero così”.

Ma come si mangiava a casa sua quando era piccolo?
“Ho sessant’anni, sono figlio di un’epoca in cui le famiglie ti davano ancora le basi. Chi si affranca oggi dal mangiar male è molto più meritevole di me”.

Quante fregature rischiano i presuntuosi e i pressappochisti di cui sopra?

“Un’enormità. Per non dire delle figuracce. Oggi esistono tecniche raffinatissime per coprire i sapori e metterti fuoristrada. Chi spara sentenze cammina sull’abisso. La prima dote del gastronomo è l’umiltà nel senso etimologico del termine: humus. Volare basso, vicini alla terra, è l’unica arma per difenderei”.

Quindi niente diktat e pregiudizi. Magari si mangia bene anche in un ristorante per comunioni.
“Certo. Poi, se hai un’educazione sensoriale e dei mediatori sul territorio, ancora meglio. Come per le opere d’arte, prima di capire devi sentire. Ma qui abbiamo una classe sacerdotale che se la canta e se la suona, usando una prosa assolutamente impropria fatta apposta per intimidire”.

E i gonzi abboccano. Però anche voi, con il lardo di Colonnata, avete esagerato.

“Un filosofo che ho conosciuto in Spagna mi ha detto una cosa fantastica: “Coltiviamoci delle contraddizioni”. Mi spiego: quando quelli di Colonnata vennero da noi, la produzione del loro lardo si stava estinguendo. L’alternativa era perdere per sempre questa meraviglia o avere una pletora di ciofeche, di imitazioni che sono il prezzo da pagare alla notorietà e alla sopravvivenza. Io adesso quelle ciofeche le manderei tutte a ramengo, però il lairdo di Colonnata, quello vero, si è salvato”.
In quali regioni il patrimonio è più tutelato?
“Ovunque ci sono straordinarie potenzialità. Ma direi che, dove ha vinto il pensiero unico della distinzione sistematica dei saperi tradizionali e dei rapporti con le culture locali, il bisogno di reazione si avverte di più. Invece dove resistono questi baluardi viventi, dove, nelle case, donne strepitose cucinano ancora in modo sublime, si va al ristorante per avere il filetto alla Vornoff e i tortellini alla panna. Sono le due facce della stessa medaglia: quando hai ancora, non valorizzi e, quando non hai più, rimpiangi. Abbiamo perso l’anima e ci andiamo a costruire queste cattedrali, le cosidette nicchie. Io odio le nicchie: ci si mettono i morti nelle nicchie. E anche i ristoranti si dovrebbero dar da fare: un veneto non può andare per il mondo a raccontare la rava e la fava della sua gastronomia se, nelle osterie, un asiago stravecchio non lo trovi neanche a pagarlo oro”.

Lei, a casa, consuma prodotti del suo
territorio o di altra provenienza? “Tendenzialmente del territorio. Poi, qualche dono arrivato da fuori non manca mai.
E quando viaggio vado in cerca di souvenir da mangiare o da bere”.

A casa cosa beve?

“Acqua, per via del fegato. Ma in Piemonte ci dividiamo in due scuole: barberisti per tre quarti e dolcettisti per un quarto. Io faccio parte della seconda scuola. Quando sono in giro, invece, sempre vini locali: ormai è impossibile non trovare un buon vino in qualsiasi parte d’Italia. Però in troppi vogliono posizionarsi sulla fascia medio-alta, sulle bottiglie da venti euro”

Consiglierebbe le cantine sociali?
“Certo, a patto che trattino solo il vino dei soci e non comprino
uve, mosti e vini dagli altri. Non sa quante ce
ne sono che fanno cosi”.

Come si riconoscono?

“Impossibile, Prendono per i fondelli anche
il nostro laboratorio”.

E il prezzo soglia oltre il quale non è consigliabile scendere?

“Direi sui quattro euro a bottiglia, dal produttore. Chi compra vini da due euro al supermercato non si vuole bene. Mangiamo meno, beviamo meno ma facciamolo meglio. Il prezzo troppo basso, non equo, è l’anticamera della distruzione del pianeta”.
Aulico.

“Allora vado sul pratico: danni alla salute, sprechi impressionanti, diritti dei lavoratori calpestati, ambiente devastato. In pochi anni l’incidenza delle spese alimentari per famiglia è scesa dal 32 al 14 per cento, con il telefonino piazzato al 12. Se potessi raccontare ai miei nonni che spendiamo più per dimagrire che per mangiare mi prenderebbero per scemo. E basta con questa demagogia per cui ci si strappano i capelli se la zucchina aumenta di dieci centesimi al chilo. Anzi, auspicherei che chi segue questi miei consigli, tornando a casa a fine agosto, si mettesse a far conserve di pomodori o di frutta senza stare a contare i soldi: glielo dico io che costano di più. Ma sono cento volte più buone. E se le fai vuol dire che hai capito la differenza fra valore e prezzo perché quello che hai preparato con amorevolezza, attenzione, sudore per te e i tuoi cari avrà un valore nell’inverno”.

Un razionalista le direbbe che questo è il libro Cuore, che l’amore non ha sapore e che le conserve delle suore
trappiste costano meno e sono migliori.

“A quel paese i razionalisti. Anche la sinistra è offuscata da questo primato dell’intelligenza razionale sull’intelligenza affettiva”.

Dicono che non esiste, che non è misurabile.
“E io dico che esiste e che è un patrimonio delle donne. Davanti all’assise di TerraMadre, ottomila persone della nostra rete internazionale delle comunità del cibo, ho parlato proprio di intelligenza affettiva, dicendo che sono queste le cose che muovono il mondo. Beh, quando sono tornato al mio posto, un importante uomo politico di sinistra seduto vicino a me mi ha bisbigliato: “Ah, son cose belle da raccontare, ma questa è tutta gente che ha voglia di vedere”. Bisogna cominciare a diventare un po’ cattivi con chi pretende di smontarti con la storia che fai solo poesia. Quando questi autorevoli dileggiatori saranno più deboli perché vecchi o isolati, saranno finiti se non avranno vicino qualcuno che gli vuol bene”.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024