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Il VenerdÌ Di Repubblica

Barolo: l’italiano con accento straniero ... Nelle Langhe sono oltre duemila gli immigrati che si occupano di tutto il ciclo produttivo del vino. Dice Gianni Gagliardo, dell’azienda di La Morra: “Senza di loro, il settore non avrebbe retto” ... Le rughe della faccia segnata dal sole e le mani piene di calli sono le stesse dei contadini piemontesi che hanno coltivato per decenni le vigne delle Langhe. Almeno tino a vent’anni fa, quando sulle colline del Barolo e del Barbaresco si so no affacciati per la prima volta loro, una nuova generazione di viticoltori immigrati da Macedonia, Albania e Romania e, dopo qualche anno, dal Maghreb e perfino dalla Cina. E sono loro, di fatto, ad avere raccolto l’eredita di un lavoro e di una tradizione che hanno reso famosi nel mondo questi vini nobili, simbolo di eccellenza del settore agroalimentare italiano.
Oggi tra i filari di vigneti in cui si prepara il terreno per la prossima vendemmia, il dialetto langarolo sta definitivamente sparendo, soppiantato dalle cadenze straniere. un segnale che rivela il mancato passaggio generazionale tra i vecchi lavoratori della Langa rurale e i trentenni e quarantenni di oggi, che non hanno voluto seguire le orme dei loro padri e dei loro nonni,
Gianni Gagliardo, fondatore dell’Accademia del Barolo, e uno tra i più accreditati produttori viti vinicoli della zona. Nella sua azienda e cantina di La Morra, vicino a Barolo, si utilizza mano d’opera straniera, “I lavoratori immigrati sono per noi una risorsa indispensabile” spiega, guidandoci tra i suoi vigneti di Nebbiolo, “non solo per portare a termine il lavoro stagionale legato alla vendemmia, ma anche per l’intero ciclo di produzione, dalla cura della terra e della vigna fino all’imbottigliamento e all’etichettatura” Gagliardo parla chiaro quando ammette che “se non tosse arrivata questa forza lavoro, la regione non sarebbe più stata in grado di produrre uve, e questo avrebbe compromesso la tenuta di un settore che oggi regge ancora bene nonostante la crisi.
Secondo le stime della Flai Cgil piemontese, la Federazione lavoratori dell’agroindustria, attualmente nelle sole Langhe sul versante di Cuneo gli stranieri impiegati nei vigneti sarebbero più di duemila, tra stagionali e assunti a tempo indeterminato, “Anche le cooperative senza terre sono sempre più numerose” dice Velter Crespo, segretario regionale della Flai, “Parliamo di realtà create e gestite direttamente da immigrati, soprattutto rumeni, cui il produttore affida la gestione della vigna e la coltivazione dei terreni, è una tendenza che rende bene l’idea del cambiamento in atto nella v te contadina della Langa”. La storia di Agron Ndou, ma tutti qui Io chiamano Agostino, immigrato dalla regione di Shkodér in Albania, e oggi assunto nel l’azienda di Gagliardo racconta questo fenomeno meglio di qualunque ricerca statistica, “Negli anni Novanta il mio Paese ha vissuto una drammatica situazione di oppressione e di crisi economica” dice, “Non c’era lavoro, la gente scappava, Dopo varie traversie, tramite un parente sono arrivato nelle Langhe, dove ho trovato un impiego in vigna, prima occupandomi della terra e poi delle uve. Oggi sono integrato nella comunità, Mo una moglie e tre tigli che vivono qui, Non capisco perché i ragazzi italiani si rifiutino di fare questo lavoro”.

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