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Internazionale

In vino veritas? ... Se oggi Bacco desse un’occhiata alla Gran Bretagna brinderebbe alla sua salute. Nel 2004 i britannici hanno consumato 1,2 miliardi di litri di vino, pari a circa 13,5 miliardi di euro, con un aumento del 23 per cento rispetto al 1999. Il consumo pro capite è stato di 25,4 litri. La Gran Bretagna è il pià grande importatore di vino del mondo e consuma più champagne di ogni altro paese (Francia esclusa). Recentemente però, la predilezione per i vigneti europei è stata sostituita dalla passione per quelli del nuovo mondo. Tuttavia questa “evoluzione” ha alcune conseguenze negative. Oggi si discute tanto dell’impatto del consumo di alcol sulla società e sulla salute, ma anche l produzione vinicola solleva una serie di problemi. In tutto il mondo molti vigneti sono ormai industrializzati e fanno un grande uso di pesticidi. Molti studi hanno rilevato la presenza di residui di antiparassitari e anticrittogamici in tutti i vini, perfino in quelli biologici. L’uva, infatti, è particolarmente vulnerabile agli inquinanti atmosferici. Gran parte dei vigneti è regolarmente irrorata di antiparassitari contro i ragnetti rossi i malattie fungine di vario tipo. Secondo Monty Waldin, esperto in vini biologici, la regione di Bordeaux, la Borgogna, la Champagne e l’Australia sono le aree dove si fa un uso più intensivo degli antiparassitari. Cile e Portogallo non si comportano molto meglio a causa dell’ignoranza dei vignaioli sulle giuste quantità di pesticidi da usare. Questa corsa alla produttività non è sana nemmeno sotto il profilo finanziario. Nel 2003 le case vinicole hanno ricevuto attraverso la Politica agricola comunitaria (Pac) fondi per 1,2 miliardi di euro. Ma la sovrapproduzione ha causato il malcontento dei coltivatori, soprattutto quelli francesi, minacciati dalla concorrenza degli americani. Il vino non è soggetto a dazi doganali e a contingentamenti come altri prodotti agricoli. I produttori vinicoli sono pagati per convertire le loro eccedenze produttive in economico brandy o perfino in carburante. E così il cielo delle sovrapproduzioni continua, garantito dall’uso dei pesticidi. I timori di Waldin riguardano anche l’uso di additivi. A differenza degli altri alimenti, l’etichetta del vino non deve dichiarare tutti gli ingredienti (solo le cooperative hanno scelto di scriverle). Così trovare sull’etichetta frasi tipo “adatta ai vegetariani” può far venire qualche dubbio. Probabilmente questa indicazione allude al fatto che quel vino non contiene chiarificanti di origine animale come la colla di pesce, che è ricavata dalla vescica natatoria dei pesci e serve a rimuovere i microscopici colloidi che possono rendere il vino un po’ torbido. Al suo posto probabilmente è stata usata dell’argilla o della silice. Tra gli altri additivi aggiunti al vino ci sono lo zolfo, usato come conservante, l’acido ascorbico o tartarico, e lo zucchero, che serve per aumentare la gradazione alcolica. Lo sfruttamento della manodopera immigrata è un altro tema dolente. Lo scorso anno la california E&J Gallo, una delle più grandi aziende vinicole del mondo, è stata bloccata per tre mesi dal sindacato dei braccianti agricoli (United farm workers). La protesta è stata interrotta quando la Gallo ha accettato di firmare i nuovi contratti di trenta mesi che garantivano ai braccianti 8,98 dollari l’ora e una migliore assistenza sanitaria. La nuova performance per i vini americani solleva anche il problema della sostenibilità del trasporto da un continente all’altro di un liquido contenuto in bottiglie di vetro. La Gran Bretagna importa il doppio del vetro verde che produce, per lo più sotto forma di bottiglie di vino. E nonostante cerchi d’aumentare il riciclaggio, ogni anno finiscono nelle discariche un milione e quattrocentomila tonnellate di questa materia prima (il vetro rappresenta il 7 per cento dei rifiuti domestici). Una soluzione potrebbe essere rispedire le bottiglie usate e triturate ai paesi di origine perché trasformino il materiale di nuovo in bottiglie. Ma il Wrap (Waste and resources action programme) suggerisce d’imbottigliare più vino nei paesi di destinazione per ridurre così le emissioni prodotto dal trasporto e aumentare la domanda locale di vetro riciclato. Infine è meglio usare i tappi di sughero invece di quelli di plastica o di quelli a vite, anche per garantire la coltivazione delle sugherete del Mediterraneo, importanti per la biodiversità della regione. Scommetto che vi sarà venuta voglia di bervi un bicchiere di vino, ma non sapete che fare. Comprando quello biologico sosterrete le aziende agricole che scelgono tecniche di coltivazione sostenibili. Lo stesso vale se comprate i vini equosolidali del Sudafrica o del Cile. Ma per contribuire alla riduzione delle emissioni rilasciate dai sistemi di trasporto, è meglio comprare e bere vini locali. In alternativa, potete sempre prendere il mastello in soffitta e mettervi a produrre il mosto per conto vostro.
The Guardian - Leo Hickman

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