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L'espresso

Intervista - Angelo Gaja non ha dubbi: “sono le donne a spingere il mercato” ... A 63 anni Angelo Gaja è l’indiscusso numero uno del vino italiano. A lui si deve la svolta dell’immagine e dei consumi dei grandi vini piemontesi in Italia e all’estero negli ultimi vent’anni, è lui il più autorevole testimonial del vino italiano nel mondo. Frenetico negli spostamenti, da una cantina in Maremma ad un wine tasting a Tokyo o Los Angeles, cosmopolita nei contatti e nelle frequentazioni, è osservatore acutissimo e privilegiato dei mercati, delle tendenze, degli umori dei consumatori. A Barbaresco la casa madre: 150.000 bottiglie di rossi a base di Nebbiolo da vigneti di proprietà, che sotto la denominazione Langhe declinano Barbareschi e Baroli sistematicamente ai vertici delle classifiche internazionali, più 50.000 bottiglie di bianchi chardonnay e sauvignon di gran pregio e in perenne rottura di stock (cioè: non ce n’è mai abbastanza). Ma Gaja non è solo Piemonte. A Montalcino produce 40.000 bottiglie di Brunello di alta qualità nella Pieve Santa Restituta; a Bolgheri, capitale dei “supertuscan”, dalla cantina-monumento di Ca’ Marcanda escono 200.000 bottiglie dei due nuovi Promis e Magari. Modi cortesi ma spicci, Gaja legge così il mercato del vino.

“La qualità, a tutti i livelli, è in crescita. Non solo grazie ai progressi delle conoscenze e delle tecniche, ma anche perché abbiamo alle spalle una sequenza di annate climaticamente eccellenti, che hanno consentito un po’ ovunque di produrre vini più ricchi di corpo, di struttura, di profumi, di alcol. Inoltre il vino - bevuto, parlato, scritto - è sempre più trendy, ed è naturale che il consumatore diventi più esigente e beva meglio. Ho fiducia nella ripresa dei consumi”.

Da chi verrà la spinta maggiore?

“Innanzitutto dalle donne; cresce in modo impressionante il numero di quelle che si avvicinano al vino. Inizialmente preferiscono i vini più freschi, profumati, leggeri, poi sono attratte dalla complessità di quelli importanti. I giovani riscoprono il vino, loro l’hanno fatto diventare una moda”.

E dove si beve?

“Sempre più fuori casa, e non solo al ristorante ma anche nei wine bar, nei semplici bar, nei locali di grido, fatto che per certi versi è positivo ma è anche segno che sta perdendosi il piacere di costruirsi e godersi a casa propria una cantina. Manca una vera educazione al consumo, che dovrebbe cominciare dalla scuola. Occorre un maggior impegno per far accostare il consumatore al vino con consapevolezza, con moderazione, per far bere il vino a una numero sempre più alto di persone ma in minore quantità”.

Le statistiche però dicono che, mentre il numero dei produttori aumenta vertiginosamente, i consumi medi calano.

“Appunto: bisogna lavorare non solo sulla qualità ma anche nelle strategie di comunicazione e i commerciali. E lo dico soprattutto per i vini di massa, perché i cosiddetti “premium wine” soffrono meno, già esistono molti canali per i consumatori informati e attenti”.

Sono un pericolo per la produzione italiana i vini del Nuovo Mondo, Australia, Cile, Argentina, Sudafrica, Nuova Zelanda, che arrivano sul nostro mercato?

“Sono vini tecnicamente ben fatti e hanno prezzi molto competitivi. Chi deve temerne la concorrenza? Ch nella stessa fascia di prezzo produce vini meno buoni: il consumatore medio anche solo a parità di prezzo non acquista una battaglia anziché un’altra soltanto perché una è italiana e l’altra è australiana. E’ quindi una concorrenza stimolante, che fa bene”. (arretrato de "L'Espresso" del 7 novembre 2003)

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