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L'espresso

Niente vino a Pechino ... Il prodotto non seduce gli orientali. E per le case italiane l’avventura è già finita. Parecchi ci hanno pensato, alcuni ci hanno provato, ma risultati e prospettive non sono incoraggianti: la Cina per il vino italiano resta un miraggio, sia per chi ci vuole andare a produrre vino, sia chi ne tenta la commercializzazione. Nel 2005, sui 17 milioni di euro dell’export dell’agroalimentare italiano verso la Cina, il vino ha inciso per 4,6 milioni, cifra modesta. E se l’international Wine and Spirit Record di Londra prevede un forte aumento dei consumi di vino nei prossimi anni (entro il 2009 dovrebbero arrivare a consumare 766milioni di bottiglie), l’esperienza degli italiani per ora non è incoraggiante. "Non esistevano e non esistono, le condizioni per operare nel vino in Cina. Condizioni socio-economiche e culturali, strutture e infrastrutture per produrre e per vendere, condizioni geologico-climatiche per fare vini accettabili", spiega Giacinto Giacomini, presidente della Cavit, secondo gruppo italiano che ha appena presentato un brillante bilancio 2005, con ricavi per 172,6 milioni di euro. "Era un progetto ambizioso, una joint venture con presenza pubblica del 60 per cento secondo le regole locali, e nel ‘98 abbiamo avviato la costruzione di una grande cantina nella regione dì Zhenzhen, a sud di Shanghai; abbiamo piantato vigneti sperimentali. Nel frattempo imbottigliavamo e vendevamo vino importato dall’Italia. Ma non c’era rete distributiva adeguata. Ci siamo ritirati, limitando i danni". Zonin invece ha puntato stilla commercializzazione, senza farsi troppe illusioni: "I cinesi sono tanti e ci si fa impressionare dai numeri. Ma non si sognano di convertirsi al consumo del vino, estraneo alla loro cultura alimentare (della quale semmai fa parte la birra), e non si vede come possa cambiare nel medio periodo. Il vino di qualità resterà un consumo per le elite, numericamente consistenti, e per il turismo d’alta gamma", osserva Gianni Zonin. "È giusto tener d’occhio quel mercato, ma sapendo che non è strategico. Noi ci siamo con una società di distribuzione che abbiamo creato a Shanghai col gruppo Torres spagnolo e con Philippine de Rothschild. Per ora ci basta". (arretrato de L'Espresso del 17 agosto 2006)

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