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L'espresso

Ombre rosè ... Le aziende? Nane. La mentalità? Arretrata. E poi sprechi e produttori senza scrupoli. L’opinione del critico de “L’Espresso” sul sistema-vino italiano... Come sta il vino italiano? Benino, parrebbe, a scorrere i dati di enti e istituzioni: ripresa dei mercati sia pure a macchia di leopardo, un miliardo di euro di export verso gli Usa superato per la prima volta, crescita di nuovi bevitori, moltiplicazione di luoghi e occasioni di consumo (bar, winebar, enoteche con cucina: solo al ristorante calano i consumi, per i prezzi insensati dovuti a produttori avidi e ristoratori ottusi). Ma i nodi del sistema-vino restano seri. Innanzitutto la polverizzazione e la dimensione delle aziende: sono 800 mila i viticultori e 32 mila gli imbottigliatori, ma poche centinaia le aziende che posseggono vigneti di almeno 50 ettari una decina quelle che fatturano più di 100 milioni di euro, ma il loro fatturato sommato è di poco superiore a un terzo di quello del gruppo americano Constellation (3 miliardi di euro con 1.2 miliardi di bottiglie vendute).
Nel vino piccolo è bello solo se è eccellente, e sopravvive chi esporta. Invece il nostro è un mondo di aziende nane, impermeabili a innovazione e marketing, incapaci di proporsi sui mercati internazionali. Il sistema di promozione è dispersivo e dispendioso. La normativa dà spazio a viticoltori e produttori senza scrupoli per traffici di uve, di mosti e di vini da una regione all’altra, da una Doc all’altra, da una cantina all’altra. Questo non contribuisce alla trasparenza dei prodotti e dell’immagine. Per non dire dei contributi statali e comunitari per piantare o estirpare vigneti inesistenti, o di quelli richiesti per distillare eccedenze gonfiate o false da parte di aziende create solo per riscuotere contributi. Sono questi i problemi. Non basta rallegrarsi per le performance di Gaia, Antinori, Sassicaia o Masseto, Giv o Cavit, Montevetrano o Clerico. È la piramide produttiva che mostra fondamenta d’argilla, ora che Io scontro si fa più duro.

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