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L'espresso

Sono Gaja ma c’è poco da ridere ... Incontro con il produttore italiano di vini più famoso nel mondo... Angelo Gaja, come vede presente e futuro del vino italiano?
«L’80 per cento del vino in bottiglia è venduto a prezzi di saldo. Ci sono molti problemi. L’agricoltura italiana è drogata da agevolazioni fiscali e contributi che ostacolano la selezione. Fuori dai nostri confini (ma anche in Italia), la crisi è di sovrapproduzione per l’ingresso massiccio dei vini del Nuovo Mondo, che costano molto meno degli europei. Le aziende top trovano mercato comunque, ma realtà come quella bordolese, con milioni di ettolitri di vino invenduto, o vendono sottocosto o ripensano del tutto le strategie».
E i produttori piccoli e i medi?
«Due ricette. Uno, diffondere tra chi fa vino una cultura dell’export e creare strutture di supporto, tipo broker-esportatori, su quei mercati dove oggi arrivano soltanto gli industriali e le cantine sociali grandi e medio-grandi. Due, visto che la gastronomia italiana ha aperto le porte dei mercati esteri ai nostri vini, lavorare per promuovere cucina e vino italiani nel mondo, aiutando i ristoranti a crescere in qualità, aprendone in India, in Cina, in Russia, in Brasile. Magari promuovendo in questi paesi scuole di formazione».
L’Unione italiana vini propone di creare una mega-denominazione Igt (Indicazione geografica tipica) Italia riservata, paradossalmente, ai vini da vitigni internazionali...
«Il problema è più ampio. Ci sono troppe Doc (Denominazione di Origine Controllata) e Docg (Denominazione di Origine Controllata e Garantita) e non sempre contraddistinguono vini di pregio. Non ha senso che nei supermercati si trovino vini a Docg sui 3 euro. La Igt consentirebbe di fregiare col nome Italia qualsiasi tipo di vino, praticamente senza possibilità di controllo. Nascerebbe solo confusione. Il 90 per cento dei consumatori extraeuropei non sa cosa significhino le sigle Doc e Docg. Però conoscono il valore del nome “Italia”».
Vini da vitigni autoctoni o da varietà internazionali?
«Vini buoni, “autentici”, che non siano addomesticati alle mode o ai mercati».

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