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L'espresso

Un bicchiere pieno di stress ... Gli alcolisti non sono tutti uguali. Vanno quindi trattati in modo diverso a seconda delle caratteristiche della loro dipendenza, e anche di quelle del loro patrimonio genetico. Ne esistono infatti, grosso modo, due categorie: gli alcolisti ansiosi, che bevono per calmare la sensazione di stress che li assale quando sono in astinenza, e quelli che, viceversa, traggono dall’alcol una sensazione di potenza e di benessere alla quale, a un certo punto, non sanno più rinunciare.

Lo ha ricordato “Science” in un lungo articolo dedicato alle ultime novità farmacologiche per le diverse tipologie di malati, ritenute oggi sempre più parte integrante delle cure psichiatriche, da sole spesso non sufficienti. Per gli alcolisti ansiosi il settore più promettente è quello che punta a intervenire sui meccanismi fisiologici e patologici dello stress e, in particolare, sul circuito dell’ormone corticotropin-realising factor o Crf. Un farmaco sperimentale della Lilly chiamato LY686017, ideato per la depressione, ma scartato perché, sebbene sicuro, non era abbastanza efficace, ha dato ottimi risultati sugli animali (riduce lo stress) ed è al momento in sperimentazione in alcuni centri statunitensi; i risultati sono attesi con ansia anche perché al momento non esiste, in clinica, alcun farmaco che interagisca con Crf.

La seconda categoria, quella degli alcolisti meno stressati, sembra abbia un particolare assetto genetico per quanto riguarda gli oppioidi endogeni, i cui recettori, secondo uno studio uscito sugli “Archives of General Psychiatry”, sarebbero mutati rispetto alla popolazione generale. Questi malati rispondono meglio degli altri al naltrexone, un farmaco usato già per altre dipendenze da oppiacei, e ci sono dati incoraggianti (pubblicati su “Pnas”) anche per quanto riguarda la vareniclina, l’ultimo prodotto contro il tabagismo introdotto sul mercato, e il topiramato, un antiepilettico che si è dimostrato attivo in due studi clinici pubblicati su “Lancet” e “Jama”. Se tutto ciò si traduca in cessazione della dipendenza è tutto da dimostrare, così come è da stabilire l’eventuale durata della cura (tutta la vita? Solo nelle crisi?), ma le premesse sembrano tutte abbastanza positive.

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