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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Neppure il vino rende i burocrati meno arcigni... Europa matrigna. Quando a metà settembre il Comitato gestione vino di Bruxelles ha approvato la richiesta italiana di distillazione di crisi concedendo però solo un terzo di quanto da noi richiesto (2 milioni di ettolitri contro 8) sono tornati ad affiorare malumori a maldipancia contro i “burocrati” comunitari. Tutti, organizzazioni agricoli e mondo vitivinicolo, compatti a criticare la “mancanza di sensibilità di Bruxelles per il settore del vino italiano che, dopo due vendemmie abbondanti, non sa più dove mettere il prodotto. Vendemmia ricche e cantine piene hanno scatenato la collera dei viticoltori del Sud, dove ci è scappato pure il morto. Eppure la vicenda è ricca dio insegnamenti. Primo: ci siamo svegliati tardi. Solo nella primavera scorsa, mentre Francia e Spagna prendevano atto della crisi del loro vino da tavola (e non solo quello) e si muovevano tempestivamente con la richiesta di distillazione a Bruxelles, in Italia dormivano sogni di gloria. Tra un convegno e l’altro, una degustazione e un wine experience, ci siamo dimenticati della realtà del mercato. I consumi di vino in Italia, Francia e Spagna sono diminuiti di circa il 50% dagli inizi degli anni ’80 ad oggi. Quindi: o tornano a crescere i consumi o bisogna far crescere i mercati di export, perché i 50 milioni di ettolitri che produciamo non riusciamo a berceli. D’altronde due terzi del bilancio europeo per il settore vitivinicolo sono destinati al governo delle eccedenze di produzione. Confagricoltura ha fatto i conti, mettendo in luce una realtà amara; si spende più per distillare che per migliorare e valorizzare la produzione. Dati che dimostrano che anni e anni di politiche (e di chiacchiere) sulla qualità sono ben lungi dall’aver ottenuto risultati definitivi, se si pensa che una grande regione emergente del vino come la Sicilia ancora oggi imbottiglia si e no il 20% dell’uva che produce. Questa vendemmia 2005 sarà un po’ meno abbondante di quella del 2004, ma le cantine sono già piene e molti produttori – anche delle aree più cult del vino – sono tentati di svendere il prodotto. E sulla via della qualità certamente non aiutano gli accordi (vedi Puglia) sul prezzo “politico” delle uve. Come’è possibile in un Paese liberista imporre un prezzo di mercato? Si sviliscono anni di sforzi rivolti al miglioramento qualitativo del prodotto e al riordino dei nostri vigneti”, chi osa con buone ragioni Andrea Sartori, presidente dell’Unione Italiana vini. Prediche inutili?

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