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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Polli e vini d’Europa nel caos di Bruxelles… E’ politically correct dire: ci vuole più Europa. Però viene da chiedersi: quale Europa? Quella che si mobilita contro l’influenza aviaria – che non c’è - e mobilitandosi manda ko un intero settore economico. Quella che acetta di importare dagli Usa vino non solo zuccherato, ma (udite, udite) allungato con acqua. Quella che sta calando le brache nella trattativa Wto con Inida, Cina e Brasile e altri paesi sedicenti “in via di sviluppo” che sviluppati sono già, anzi si stanno attrezzando per invaderci con i loro prodotti ottenuti con uno spaventoso dumping sociale e ambientale. Quella dei commissari Fischer Boel e Mandelson, più realisti del re (cioè degli Usa) pronti a svendere identità e tradizioni del Vecchio Continente in nome di un ormai decadente neo-liberismo. Quella che si dimentica che l’Europa è già il mercato più ricco e aperto del mondo e importa prodotti agricoli dai Paesi più poveri di quanto non facciano Usa, Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda messi assieme. Questa Europa a 25 soffre di mancanza di identità e schizofrenia burocratica. Siamo a flagellarsi e a stanziare fondi per l’influenza aviaria. Intanto l’unico settore della nostra zootecnia che è tutto made in Italy, pollame e carni bianche, con standard che tutto il mondo ci invidia, sta colando a picco. Dal 17 ottobre è obbligatoria l’etichetta di provenienza per pollame e derivati. Bene, ci arriva una diffida da Bruxelles, perché siamo a rischio infrazione, l’etichetta rappresenta un ostacolo agli scambi. Ma come? Quando ci fu l’emergenza “mucca pazza” fu proprio l’Europa a introdurre l’obbligo di rintracciabilità delle carni fin dall’etichetta. Una scelta giusta, che tutelò il consumatore e “bonificò” il mercato. Adesso una scelta analoga per i polli è illegittima, contrasta con le regole del commercio mondiale. Ancora. Dal prossimo 25 novembre tutte le bottiglie di vino prodotte in Europa devono riportare obbligatoriamente in etichetta la dicitura “contiene solfiti”. Ma i regolamenti comunitari non specificano bene in quale lingua. Alcuni paesi pretendono la loro lingua, altri accettano l’inglese, il caos è totale. Sul sito informativo www.winenews.it esplodono le proteste dei nostri produttori di grido, tutti grandi esportatori: “La legge in effetti è sibillina – spiega Enrico Viglierchio, direttore generale di Castello Banfi, culla del Brunello – qualunque Paese dell’Unione può richiedere l’indicazione “contiene solfiti” nella propria lingua. Per i produttori restano solo due strade: o fare etichette in 16 lingue, oppure fare 16 etichette diverse”. Come dire, questa Europa ti dà sempre una mano (arretrato del 19 novembre 2005).

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