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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

“Scommetto sulla mia Romagna” ... L’imprenditore Gianmaria Cesari e il suo Nobile sangiovese... Il vino raccontato da chi lo fa, di fronte ad un mercato interno che si contrae, all’export che tira ma si fa selettivo, a cambiamenti di gusto che rivalutano i vini regionali e di territorio. Tre milioni di bottiglie da vendere ogni anno, 240 ettari di vigna da curare, sudare, amare. Intorno un mondo in rapidissima evoluzione e una terra benedetta, quelle colline che pigliano il salmastro dall’Adriatico, il sole d’Oriente e fanno da quinta scenografica alla Riviera tra Castel San Pietro e Forlì. Sono le terre del Sangiovese di Romagna, un vino antico, nobile eppure spesso sottovalutato, in perenne derby con quello di Toscana. Questo è il mondo di Giammaria Cesari erede di una dinastia di vignaioli per passione prima che per business. “Ma ora io mi misuro con un altro mondo, il mercato globale perché in Italia per chi fa vigna sono momenti tristi”. Non è il solito lamento del “contadino”, ma un’istantanea del mercato. Dove si fa fatica ad incassare, dove al ristorante il consumo di vino si è dimezzato e che è “vessato” dalla paura dell’etilometro. “Fortuna l’export - sussurra Cesari - che ci ha fatto fare i bilanci: sia pure con fatica. Abbiamo avuto quest’anno un ottima performance: più 31% di fatturato. Ma questo solo grazie alla ripresa in America, al Canada che ha imparato ad amare il vino italiano, alla Germania e alla Svizzera. Poi ci sono i mercati emergenti la Russia, un po’ il Brasile. La Cina più che una realtà è una prospettiva”. Raccontata così, viene da dire, non va poi tanto male. “Non dico che va male, dico che facciamo il doppio di fatica di prima. Noi vignaioli siamo rimasti indietro. Dobbiamo adeguare il marketing. Oggi si vende se si lega il vino alla cucina, se si rafforzano le politiche di marca e la notorietà dell’azienda, se si lavora sul contatto diretto con il cliente. Tutte cose che stiamo imparando oggi in fretta”. Ma il legame col territorio? “Beh se fossi in Toscana forse potrei giocarci su, ma non qui non in Romagna dove il Sangiovese ha l’immagine che gli danno in televisione le cooperative. Devo dire che l’Emilia-Romagna ha smesso di puntare sulle sue eccellenze, non abbiamo investito né nella percezione della nostra qualità totale, né siamo riusciti a fare sistema sinergico. A noi vignaioli romagnoli basterebbe che il turismo della Riviera assorbisse il nostro vino per avere le cantine sempre vuote”. E allora? “Allora bisogna darsi una mossa: qui in Cesari stiamo realizzando un centro di oltre 4 mila metri quadrati - con tanto di barricaia, sale di degustazione e per l’abbinamento cibo-vino - per accogliere i turisti del vino che sono la nuova frontiera. E bisogna cominciare a chiedere più rispetto per il vino e più assistenza all’esportazione”. Gara dura, per dirla alla romagnola? “Sì ma una mano ce la danno i consumatori. Stanno tornando a bere vini della loro terra, vini freschi, vini autentici. Per questo scommetto ora e sempre sul Sangiovese di Romagna”.

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