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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Il Prosecco vince da solo ... L’Istat ha confermato il record dell’export del vino italiano nel 2011 a quota 4,4 miliardi di euro (in quantità 24 milioni di ettolitri). Grattando sotto le cifre, spunta un ‘altra buona notizia. L’incremento in valore (+12%) ha superato quello in volume (+9%), segno che il nostro vino sta recuperando sui mercati mondiali anche come livello di prezzi, che era un po’ il nostro tallone d’Achille rispetto ai più titolati cugini francesi. Ancora: cala la quota dello sfuso, cresce quella del vino in bottiglia (quasi +10%) con gli spumanti (leggasi Prosecco) che sfiorano uno strabiliante + 30%. mostri primi clienti in valore sono Stati Uniti, Germania e Regno Unito, mentre la classifica cambia in termini di quantità, con Germania e Regno Unito davanti agli Stati Uniti. I dati sono un ottimo viatico per il Vinitaly in corso a Verona (fino al 28marzo) ormai il più importante salone del vino al mondo (con Bordeaux), come si conviene ad un Paese che gestisce il 22% del mercato internazionale del vino. Il merito di questa leadership, che ogni anno si rafforza in barba alla crisi, all’euro forte, al calo dei consumi, alla virulenza dei competitor internazionali, è delle migliaia di cantine italiane, questi piccoli grandi artigiani del vino (come li chiama Angelo Gaja) che messi con le spalle al muro - o esportare o chiudere - hanno imparato a lavorare di squadra, a rapportarsi coi buyer internazionali per cercare ognuno il proprio canale o la propria nicchia di mercato. In questo senso il mondo del vino italiano, pur composto da migliaia di irriducibili solisti, ha saputo fare squadra’ sfruttando le provvidenze messe generosamente a disposizione dall’Europa per la promozione sui mercati extracomunitari (quelli che crescono di più) in virtù della riforma dell’Ocm vino del 2009 e organizzandosi di conseguenza. Una riforma mal digerita se non apertamente osteggiata nel 2007-2008 dalle associazioni di categoria italiane, ma che si è rivelata un toccasana per un settore malato di assistenzialismo e cronica sovrapproduzione. Una volta tanto i soldi di Bruxelles sono andati a buon fine. Ri-orientato al mercato, tagliati parassitismi e contributi a pioggia per distillare, estirpati i vigneti di pianura più obsoleti, il vino italiano ha cambiato pelle ed è diventato un grande asset del made in Italy. Una cura ‘liberale’ da consigliare anche ad altri settori del nostro agroalimentare.

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