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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Cuoio, Marmo e vino nel Dna toscano … La storia aiuta a conquistare i mercati … A Firenze economisti e antropologi rivelano i segreti delle filiere artigiane … Sono i genomi del marchio Toscana, filamenti del Dna di una regione, eccellenze su cui poggiano decine di migliaia di imprese, centinaia di migliaia di occupati e miliardi di curo di fatturati. Li hanno ribattezzati “Benedetti toscani”, ribaltando Malaparte e studiando quelle sei filiere con le lenti degli antropologi, molto più sofisticate di quelle degli economisti. Su cuoio, tessuto, vino, marmo, paglia e sigaro toscano la ricerca commissionata da Manifatture Sigaro Toscano del gruppo Maccaferri, ed elaborata dalla cattedra di Antropologia culturale dell’università di Firenze, sarà il fulcro del convegno di oggi a Palazzo Capponi di Firenze, con il vicepresidente nazionale di Confindustria Gaetano Maccaferri, il docente di economia e gestione delle imprese Stefano Micelli e i professori di antropologia Pietro Clemente e Elena Maria Giusti. “Le filiere si potrebbero moltiplicare - spiega il professor Pietro Clemente, coordinatore della ricerca - le abbiamo circoscritte per evidenziare il tessuto connettivo che le unisce. Il rapporto con il passato e la tradizione, il permanere di certe pratiche manuali, l’uso dell’olfatto e dell’occhio nella capacità di ordinare un prodotto. Tratti antichi che sono però la molla per conquistare i mercati, che sono capaci di piegare anche le tecnologie informatiche alla produzione artigianale. Per questo sono diventate icone internazionali e hanno dato ancora più forza a quel marchio noto in tutto il mondo che è la Toscana”. Per il professor Clemente la tesi di Granisci sulla “Toscana che si nutre solo della boria dei ricordi passati” è radicalmente contraddetta
dalla forza autorigenerante delle filiere. “Saranno gli economisti a spiegare la capacità degli artigiani toscani di penetrare nei mercati internazionali - ma resta cruciale studiare come la forza, ad esempio, del vino o del cuoio, si sia tradotta anche nell’esportazione di tecnologie per tutelare l’ambiente. Oggi il distretto della concia di Santa Croce vende al mondo anche impianti che bonificano le zone produttive. Per sperare nel futuro va studiata la forza intrinseca di queste filiere, distretti che hanno superato anche anni di crisi”. Il presidente di Manifatture Sigaro Toscano, Gaetano Maccaferri, è ancora più esplicito. “Nell’immaginario degli stranieri lo stile italiano è associato all’eleganza, qualità, creatività, arte; un buon vivere che ha radici nella cultura materiale dei territori, nelle tradizioni, nei saperi tramandati tra le generazioni. Ci siamo rivolti agli antropologi per cercare di individuare in modo scientifico le origini dello stile italiano. Grazie a questa ricerca, si comprende come il profondo legame con il territorio faccia del brand una identità territoriale, con una caratteristica importante: la non replicabilità, elemento base del successo dei prodotti di alta qualità”. Maccaferri applica il concetto ai suoi sigari, a partire dallo “stortignaccolo”, una ricetta che non cambia da due secoli, fatto con tabacco Kentucky e acqua. Nato nel 1815 nelle Manifatture di Firenze il sigaro toscano è stato prodotto fino al 2004 dai Monopoli di Stato, poi è passato al colosso angloamericano Bat, per tornare in mani italiane due anni dopo. “Nel 2012 - rivela il presidente Maccaferri - grazie alla tradizione siamo arrivati a 12 milioni di sigari venduti nel mondo”.

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