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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Il Chianti patrimonio dell’Unesco. Il dono per la festa dei trecento anni Tra storia e futuro, per il Vigneto Toscana comincia la settimana clou. E’ tempo di celebrare l’anniversario più atteso, i 300 anni dal 24 settembre 1716 e dall’editto con cui il Granduca Cosimo III istituiva le prime `denominazioni’ del vino: Chianti (ed erano i confini geografici dell’attuale Gallo Nero), Carmignano, Pomino (oggi tutto il Chianti Rufina) e Valdarno Superiore, tornato terra da vino in tempi più recenti. Batté sul tempo i francesi, il Granduca, tra l’altro con norme commerciali modernissime. Vanto indiscusso, per il Granducato: che ne farà partecipe, sabato a Firenze, il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. Al quale il Chianti presenterà la proposta di far entrare i vigneti del Gallo Nero nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. Intanto Giovanni Busi presidente del Consorzio Chianti (la denominazione più vasta) pensa di affidare all’Unesco, ma come patrimonio immateriale, perfino le feste dell’uva e del vino.

Occasione d’oro, sabato, per parlare di territorio e di sviluppo.

Il Chianti del bando granducale vuole diventare distretto rurale, e vestirsi di biologico. Pure l’assemblea del Chianti Rufina ha già dato l’ok all’iter per convertirsi a distretto bio, non poetico romanticismo ma patto d’acciaio tra produttori, cittadini e comuni. È il momento clou, insomma. Anche per aprire fattorie e poderi alla massa degli enoturisti: oggi c’è Cantine Aperte (programma e aderenti su www.mtvtoscana.com, sito del Movimento per il Turismo del Vino), e proprio nel cuore della rivoluzione bio, la “piccola Borgogna” di Panzana in Chianti - venti vignaioli nell’Unione locale, 500 ettari e 2 milioni di bottiglie rigorosamente green - si tiene l’expo “Vino al Vino”.

Con gli occhi al cielo, per capire i segnali di un’annata che promette altissima qualità. Con un pizzico di scaramanzia, visto che la Toscana ora supera il Piemonte nell’export: 427,1 milioni di curo contro 404,6.

Frutti di

un ottimo lavoro: per esempio, quello di Sergio Zingarelli, presidente del Chianti Classico e produttore a Rocca delle Macie, che sta facendo 15mila miglia in 12 giorni tra Atlantico e Pacifico per incontrare 1.500 professionisti del settore, e la partecipazione tra un mese della Toscana alla Wine Experience di Wine Spectator del New York Marriott Marquis. Segnali che si avvertono anche nella voglia di novità: Frescobaldi fa restyling importanti a Nipozzano, dove cambiano qualche etichetta e il blend del Mormoreto, rosso di punta del Castello.

Fioccano poi i premi e scopri che la più “stellata” tra le cantine toscane non è una griffe ma una cooperativa: Castelli del Grevepesa, 50 anni di storia, cento soci, un milione di bottiglie da 17mila quintali di uva conferiti, 64 riconoscimenti in un anno tra guide, concorsi, challenge e trophy in Europa, Asia e America e il suo direttore ed enologo, Ugo

Pagliai, artefice della rinascita dell’azienda, nominato “winemaker of the year” del 2015 negli Usa.

Ultimo segnale, vero e concreto, la pioggia. I vignaioli esultano. Certo, i primi grappoli - uve bianche, il precoce merlot e qualche sangiovese giovane in basso - sono già caduti nelle ceste e sono già mosto. Certo, qualcuno ha avuto paura e ha cominciato a cogliere, anche in zone nobili come Montalcino. Ma i più attenti hanno aspettato, e qualche scroscio non li spaventa. Giovanni Manetti, big di Pantano, mostra sullo smartphone i dati di rilevamento delle sue centraline in vigna: “Sono appena 25 millimetri d’acqua malgrado gli scrosci violenti, e ci voleva perché si rischiavano concentrazioni zuccherine eccessive, quest’acqua riporta eleganza ed equilibrio, il chicco si gonfia quel tanto che basta”.

Appuntamento dunque tra una settimana, con le schiere di giovani assunti coi voucher. E chissà che anche quest’anno qualche ricco stravagante, invece, non paghi le sue 250 sterline al giorno per un selfie con le cesoie tra le vigne di Sting.

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