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La Nazione

Fiere - «Il Vinitaly è da buttare. Troppa gente e sporcizia». L'assessore Barbini: la Toscana potrebbe non andarci più ... Insufficiente, esecrabile, inconcepibile, scandaloso, un'immondizia, un disastro. Per carità di patria ci fermiamo qui. I reduci dal Vinitaly non usano mezzi termini per definire i limiti strutturali, organizzativi e dei servizi di questa grande mostra di Verona appena conclusa, che, peraltro, ha confermato la sua grande validità dal punto di vista commerciale e della capacità di attrazione.
Il coro dei «toscani» è unanime, senza sbavature. E a guidarlo – non nei termini, ma di certo nella sostanza delle critiche – c'è addirittura Tito Barbini, l'assessore regionale all'agricoltura, che si dice fermamente intenzionato a coinvolgere altre regioni, a cominciare dal Piemonte e dall'Emilia-Romagna, in un'iniziativa comune per cambiare le cose. Quali cose? La lista è lunga. Barbini, badando prima a precisare di essere soddisfattissimo per i risultati del vino toscano che premiano gli imprenditori e le loro scelte di qualità, mette sullo stesso piano il sistema organizzativo e quello dei servizi della fiera veronese, lamentando da un lato che troppe imprese toscane non abbiano trovato spazio nell'area espositiva e dall'altro una situazione da terzo mondo: sporcizia dovunque, file di un'ora per accedere alla toilette o per avere un caffè, ripetuta mancanza d'acqua e di energia elettrica, pochi parcheggi e anche quelli (causa la pioggia) ridotti a veri e propri paduli, clima inadatto alla degustazione dei vini, fumo (proibito all'interno dei padiglioni) da tagliare a fette. Una miscela esplosiva, capace – sostiene ancora Barbini – di invalidare il pur indubbio appeal di questo appuntamento, soprattutto in rapporto all'eccezionale funzionalità delle due altre grandi mostre europee del vino, quelle di Dusseldorf e di Bordeaux. Ma l'aspetto più deteriore, scoraggiante e controproducente di questo Vinitaly è costituito, paradossalmente, dalle torme di visitatori. «A momenti – accusa Barbini – non era neppure possibile camminare per i padiglioni. O qui tutto cambia e si va verso un sostanziale miglioramento – conclude l'assessore regionale – o dovremo rivedere la nostra partecipazione».

La posizione è pienamente e fermamente condivisa dal mondo vitivinicolo toscano. «Ci hanno fatto disperare – dice Emanuela Stucchi Prinetti, presidente del Consorzio Chianti Classico – e siamo rimasti del tutto inascoltati. L'assalto di tanta gente interessata solo a bere e curiosare ha creato disagi e ha reso difficili i rapporti con i clienti. Permettere tutto questo significa creare un danno all'immagine del vino italiano».
«E' l'ora di alzare la voce – sostiene a sua volta Stefano Campatelli, direttore del consorzio del Brunello. Se è vero che gli affari e i contatti sono andati bene, è vero anche che si rischia che il Vinitaly diventi la sagra del bicchiere. Occorre una selezione dei visitatori e che si realizzino tante cose a cominciare dai parcheggi». «Siamo del tutto scontenti – commenta a sua volta Paolo Valdastri, del consorzio Strada del vino Costa degli Etruschi. Della luce che manca, del clima inadatto a degustare i grandi vini, degli odori nauseanti, dei servizi inefficienti, dell'assenza di una selezione delle aziende. Noi abbiamo avuto un piccolo stand. Come posso metterci il Sassicaia? Ci auguriamo che nasca un'alternativa a Verona». «Ogni anno speriamo che la situazione migliori, ma è sempre peggio – commenta sconsolato Ferdinando Guicciardini del consorzio dei Colli Fiorentini. Validissima l'affluenza, esecrabili i servizi, un acquitrinio i parcheggi. La Fiera sta scoppiando per la troppa gente».

Commenti: la parola all'Enoteca Italiana, alla Coldiretti e alla Confagricoltura

Flavio Tattarini, presidente dell'Enoteca Italiana

«Per quello che ci riguarda, non posso che apprezzare la disponibilità della direzione di VeronaFiere ad ampliare il nostro stand. Dal punto di vista egoistico, diciamo di 'espositore', l'Enoteca Italiana non ha sofferto problematiche particolari. Diverso però, assai diverso, il discorso sui servizi: anch'io ho raccolto tanti segnali (poi "passati" alla direzione) che consigliano scelte più attente per il prossimo futuro. Insomma: da un lato bisognerà puntare a una ridislocazione e una miglioramento degli stand; e dall'altro — e ne ho risentito anch'io, personalmente — sono i servizi alla persona che vanno curati meglio. La ristorazione, le attese per le toilettes: tutto da migliorare, perché Vinitaly deve essere valorizzato al meglio».

Michele Satta, numero due della Coldiretti toscana

«Ottimo il business al Vinitaly, ma l'organizzazione... E'peggiorata di anno in anno e questa volta la fiera è stata davvero una bolgia: tanti importatori sono scappati dopo un paio di giorni perchè era impossibile lavorare. La colpa del disastro è averla tenuta aperta al pubblico sempre, non un solo giorno come in passato. Il costo del biglietto era salato, 30 euro, ma fuori c'erano i bagarini: vendevano i biglietti gratuiti a prezzi dimezzati. Il risultato? La folla era tale da rendere un'impresa spostarsi da uno stand all'altro e si faceva la sauna con una temperatura di 30 gradi. Ma la stessa Verona non facilita certo i visitatori: dal casello dell'autostrada alla fiera ci sono tre chilometri: la mattina si impiegava due ore e mezza per percorrerli».
Bernardo Gondi, presidente di Confagricoltura di Firenze

Vinitaly è in stato di grande «Vinitaly è in stato di grande vitalità, ha ottenuto un successo straripante. Ma presenta alcune contraddizioni gravi, anzi scandalose. E' inammissibile, per esempio, che questa fiera si tenga in una città che vive: logistica infausta, lo dimostrano le code spaventose per ognuno dei giorni di esposizione. E io trovo scandaloso che il padiglione della Toscana abbia più di 300 espositori in lista d'attesa (io che esporto vini "importanti" per il mondo sono il 320°...) e grandi spazi all'interno siano occupati da enti pubblici e "politici". E ancora peggio, che nel padiglione toscano ci fosse l'editoria di settore. E' poi vero che per i visitatori la fiera ha zone penalizzanti, che ci vuole più professionalità per la gestione degli spazi».

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