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La Nazione

“Gallo Nero inutile. Va fuso col Chianti. Guerra nei Consorzi”. La crisi del vino di qualità mette in discussione l’ente di promozione. Soltanto il prodotto non imbottigliato è in ripresa … Il vino fa acqua da tutte le parti. Vanno sempre più a rilento i consumi interni e l’export è in sofferenza. Tutto il prodotto italiano, salvo poche eccezioni, è investito da “brividi” di crisi. La Toscana non fa eccezione e il Chianti Classico, uno dei fiori all’occhiello dell’enologia nazionale e regionale, è addirittura in fibrillazione. All’ingrosso, questo vino, si trova oggi a 170 euro il quintale, una quotazione sotto la soglia della remuneratività, e sul mercato si accumulano senza esito le offerte anche di grosse partite. La parola d’ordine, specialmente per le piccole e medie aziende non molto strutturate sul versante commerciale, è di realizzare, anche per far fronte agli oneri degli investimenti in vigne, cantine e nuove tecnologie, decisi in tempi migliori, quando sembrava che il periodo d’oro del vino non dovesse mai finire con i prezzi di vendita in costante ascesa pur oltre ogni soglia di ragionevolezza mercantile. Ora i nodi sono arrivati al pettine. S’impongono valutazioni, riflessioni e decisioni, con il rischio, però, sotto l’incalzare della crisi, che a dettarle siano l’emergenza e il bisogno più che la razionalità.
Nel Chianti Classico, in questa situazione, sta venendo avanti un’ipotesi che è anche “figlia” di questi tempi: la fusione del Consorzio Gallo Nero, deputato alla promozione del vino, nel Consorzio Chianti Classico che “di mestiere” fa la sentinella della rispondenza (e quindi anche della qualità) del prodotto ai canoni fissati. Il primo con funzioni meramente “private” e decise dai soci, il secondo con un ruolo valido “erga omnes”, e quindi pubblico, di controllo e di convalida di tutto il Chianti Classico. Un ruolo, sia detto per inciso, che pare - il condizionale è tre volte d’obbligo - possa venire presto cancellato da una proposta di legge governativa in fase di presentazione al Parlamento. Torniamo al Consorzio Gallo Nero. Sul suo destino - sono in molti a pensare che l’inglobazione equivarrebbe alla sua cancellazione - si è determinata una profonda spaccatura fra i soci. Solo la mancanza del numero legale ha impedito la conta, e quindi la decisione, nell’ultima recente assemblea. L’argomento sarà comunque affrontato nel consiglio del 23 luglio prossimo. Probabile che si tenti una ricucitura fra le diverse posizioni. Ma intanto l’attività di promozione, pur muovendosi sui binari tracciati in precedenza, ha perso spinta propulsiva e credibilità. Mentre le vendite … languono. I perché sono molti e complessi. Intanto la crisi internazionale. L’export di vino italiano - dice l’Ismea - nei primi due mesi di quest’anno ha perso ulteriori posizioni: meno 6,6 per cento in quantità (1,7 milioni di ettolitri), meno 13,4 per cento (315 milioni di uro) in valore. Ma, all’interno di questo bilancino, i vini sfusi sono in recupero del 7,3 per cento, quelli confezionati in caduta dell’11 per cento, per un totale di 909mila ettolitri. E ancora: i vini da tavola aumentano le vendite del 2,6, mentre i Doc-Docg arretrano del 17 per cento. E mentre la Germania dà segni di risveglio, il volume verso gli Usa accusa un tonfo del 30 per cento. In compenso - ecco la concorrenza straniera che si fa sentire sempre di più - l’import di vini mette a segno una crescita del 5 per cento. Si diceva sopra dei “perché” della crisi del Chianti Classico e, più in generale, del vino toscano. Dopo i prezzi troppo alti e non competitivi nel mercato globale dove s’affollano sempre più Paesi venditori, causa scatenante della crisi di vendite, sotto osservazione c’è anche la qualità, tutta alta ma purtroppo omologata (nel Chianti Classico è in atto una “feroce” diatriba anche sul disciplinare del vino) e soprattutto ormai a portata di tutti grazie a un buon enologo e alle cantine supertecnologizzate, mentre sono in pochi i produttori - quelli che reggono bene - che possono contare su una buona rete commerciale. Fatto è che siamo nel bel pieno di una crisi che non si sa dove possa andare a parare. E il peggio è che non c’è assolutamente nozione piena di questo stato di cose, con i media che ancora parlano, con toni trionfalistici, di periodo d’oro, grandi bottiglie, territori magici ...

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