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La Nazione

Una sola ‘doc’ nazionale? Il Vigneto Toscana dice no ... Vino & mercati... Nel mercato globale, in cui i brigidini di Lamporecchio si trovano sugli scaffali di Mexico City e i vini australiani si bevono a Greve in Chianti, ha senso difendere e sostenere le indicazioni geografiche tipiche di ogni provincia italiana, o comunque di zone ristrette, come abbiamo oggi? Oppure è più opportuno schierare un’unica, grande Igt nazionale, facile da identificare e che possa affermarsi anche grazie alla promozione indiretta del marchio made in Italy già usato per la moda? Francesi e spagnoli hanno pensato che per inserirsi con forza nel potenziale di consumo della Cina, tanto per citare la più ambita fra le realtà emergenti, fosse meglio presentarsi con una denominazione nazionale, rispettivamente i Vinedos de Espana e i Vignobles de France. Che, naturalmente, raccoglierebbe tutti i vin de pays, un po’ quello che da noi era il “vino da tavola”: non certo le grandi denominazioni tipo Bordeaux e Borgogna, lo Champagne o lo Chateauneuf-du-Pape o le Cotes du Rhone. Ma l’Italia, almeno per ora, non sembra intenzionata a seguire il loro esempio.
Marco Pallanti, presidente del Consorzio del Chianti Classico, non è convinto dall’operazione.
“La denominazione nazionale non è del tutto positiva, perché ci sono già ricorsi da parte di associazioni e consorzi in Francia e Spagna che non si sentono tutelati da una così gigantesca. Certo, in Italia c’è forse il problema opposto perché ce ne sono già troppe, sarebbe meglio toglierne alcune”. “Le Igt - aggiunge - funzionano e possono garantire un legame col territorio, non vedo perché stravolgerle. L’altro motivo per il quale non ritengo che una denominazione nazionale sia positiva è perché qualsiasi problema si creasse, ricadrebbe su tutto il settore del vino e questo è molto pericoloso. Inoltre, chi controllerebbe un’Igt così vasta? Si sta scendendo sul piano di battaglia delle griffe e delle marche senza fare una guerra su territori che non sono quelli del semplice marchio”.
Per esempio? “Che senso ha un’Igt Italia che mescola il cabernet della Sicilia con quello del Trentino? Che vino è? Se il made in Italy diventa solo un marchio, si snatura il sistema. Meglio far funzionare le denominazioni che già ci sono”.
Pollice verso anche dal direttore del Consorzio del Brunello di Montalcino, Stefano Campatelli: “Come Consorzio, abbiamo puntato tutto sulla valorizzazione di un prodotto in corrispondenza di un determinato territorio e ora non avrebbe senso invertire la marcia. So, inoltre, che Francia e Spagna hanno creato con la denominazione nazionale grandi contraddizioni al loro interno”. “A livello personale - conclude Campatelli - vorrei aggiungere che oggi abbiamo 123 Igt in Italia che potrebbero essere ridotte a 20, una per ogni regione, e partire proprio da quelle per inserirsi con più forza sui mercati emergenti. Se una Igt toscana, che ha comunque l’obbligo di riportare in etichetta “made in Italy”, arriva in Cina, la persona che compra sa cosa sta scegliendo. Una Igt per ogni regione potrebbe essere un compromesso funzionale, mentre non penso proprio si possa fare una Igt nazionale”.

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