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La Nazione

Vino, sangue della vita e della terra. Scienza & conoscenza secondo Tachis ... Guida al nuovo libro dell’enologo: “Eccellenza è gioia”... La penicillina guarisce gli uomini, il vino li rende felici. Motto ideale, le parole di Alexander Fleming, per far da slogan a una piccola bibbia del vino. Piccola solo perché sono poche le 160 pagine di “Sapere di vino” (Mondadori, 18 euro) per raccogliere la conoscenza e la scienza, la passione e l’amore di Giacomo Tachis. Il principe degli enologi italiani, principe anche di modestia, “protagonista della rivoluzione del vino italiano, dagli anni dell’oscurantismo e della quantità alle vette attuali della qualità”. Parole di Piero Antinori, grande amico, datore di lavoro a San Casciano Val di Pesa, coprotagonista in decenni di vita tra vigneti e cantine - insieme a pochi altri: il padre Niccolò, il fratello Ludovico, gli Incisa della Rocchetta a Bolgheri - della svolta epocale guidata da Tachis. Piemontese sbarcato in Toscana “per essermi visto rifiutare un pezzo di pane e di formaggio come pasto quotidiano da uno a cui chiedevo di insegnarmi a fare spumante”. Ieri all’Accademia dei Georgofili la presentazione. Ma più una festa, un abbraccio caloroso, presente in sala anche il gotha del vino toscano, sardo e siciliano per l’accademico Tachis, di cui il moderatore Carlo Cambi, docente e giornalista, ha detto che “sta al vino come Marsilio Ficino sta alla cultura europea”.

Parla poco, Giacomo Tachis. Ma non risparmia bacchettate. Agli enologi: “Il valore del vino italiano - dice - è determinato dalla geostoria, dalla fatica che si profonde per far entrare nella testa la cultura del vino. Che si esprime nell’assaporamento, nell’esame organolettico, nella cultura. Troppi si appellano alla scienza ma non hanno scienza né capacità. Tirano fuori dalle tasche le formule chimiche, ma non è quello che fa il vino”. Ai professori: “Non ho un buon ricordo dell’Università di Firenze...”. Parla poco, Tachis, ma parla il libro. C’è storia e tecnica, geografia e antropologia, dopo la toccante introduzione dedicata al “mago di Bordeaux” Emile Peynaud. Ecco qualche perla.

Che cos’è il vino. “Sangue della vite fermentato, più ancora sangue della terra, esso è simbolo di morte e di rinascita, e presiede quindi ai riti di passaggio e dell’iniziazione esoterica”.

Fa male? “L’eccellenza di un vino tocca la gioia, la serenità e il benessere dell’uomo, giunge a migliorarne l’umore e alleviare le sue pene, attutire il peso della sua età, rinvigorirlo infondendogli speranza, coraggio, risolutezza... Il binomio vino e salute è sempre più rafforzato, sempre più garantito”.

Il vino del futuro. “Non ci sarà più l’enologo stregone che indossa un camice bianco per fare scena, per poi mettere la polverina nel vino. Il vino si fa nella vigna. Non dobbiamo più fare vini, come stiamo rischiando di fare ora, di moda. Serve un prodotto che vada bene per il consumo di un pubblico enorme”.

Come si fa un vino buono. “Il valore reale di un vino si basa su due elementi: la qualità dell’uva e il corretto espletamento dei processi microbiologici enzimatici, a cui l’uva e il vino verranno sottoposti a partire dalla bacca al momento della vendemmia”.

Tra qualche secolo “ci si accorgerà del profondo cambiamento che verrà rinviato al nome di Giacomo Tachis”, conclude il presidente dei Georgofili Franco Scaramuzzi. Perché non esiste grande futuro senza un grande passato.

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