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La Repubblica

L’auto a metano ora fa il pieno di Tavernello … La coop che produce il vino trasforma gli scarti in carburante che arriva nei distributori italiani… Un’auto alimentata da rifiuti organici. Molto meglio: 18 mila auto che viaggiano per un anno senza consumare una goccia di petrolio. Non siamo sul set “Ritorno al futuro” (i cultori ricordano che nell’ultima scena Doc Brown fa il pieno alla Delorean-macchina del tempo pescando dall’immondizia), ma in Italia nel 2019 dove arriva il biometano da scarti di lavorazione. L’epicentro di questo “miracolo” dell’economia circolare è a Faenza, nel regno del Tavernello. Negli impianti della Caviro passa il 10% di tutta l’uva prodotta in Italia, conferita da 12.500 viticoltori in 7 regioni. Questo gigante delle coop (fronte Confcooperative) produce 190 milioni di litri di vino (dal noto cartone a decine di etichette più glamour), ma anche centinaia di migliaia di tonnellate di scarti. Più che circolare andrebbe definita “economia a catena” che sfrutta l’esistente per trasformarlo finché possibile. Da decenni vinacce e fecce diventano mosti, alcol per l’industria e la farmaceutica. Il biometano è solo l’ultimo anello. Caviro a Faenza ha trasformato la saggezza contadina del riutilizzo in una vera industria e ha aperto le porte anche agli scarti degli altri: tutti i grandi nomi dell’agroalimentare (caseario, frutta e allevamento) vengono qui; persino gli sfalci e le potature del verde sono convogliati grazie ad una joint venture con Hera chiamata Enomondo. Questa montagna da 540 mila tonnellate viene scomposta in fertilizzanti, prodotti inerti per l’industria e 12 milioni di metri cubi di biometano che da poco più di due settimane finisce nella rete nazionale Snam e da lì nei distributori di tutta Italia. Abbastanza per far coprire 200 milioni di km ad un auto di media cilindrata. Calata nella realtà italiana, la storia che c'è dietro è quasi più incredibile della fantascienza hollywoodiana: un laureando in ingegneria dell’università di Bologna prepara la tesi sul biometano e trova un’azienda che già dall’81 trasforma gli scarti di produzione in biogas (spinta, tra l’altro, da una regolazione che impone di ridurre l’impatto ambientale sulle acque in uscita dallo stabilimento). La trasformazione dell’impianto che brucia il gas per fare elettricità diventa un investimento da 9 milioni di euro per un nuovo “digeritone di rifiuti”. Colpo di scena finale, il decreto che paga l’incentivo ai produttori arriva in tempo nonostante i dubbi del ministro di turno. Non è un casuale che tutto sia nato in una coop e non solo perché, come rivendica il presidente di Caviro Carlo Dalmonte, “siamo aperti a innovazione e cambiamento”, ma anche perché chi finanzia è al tempo stesso fornitore ed esponente del territorio. Cioè gli stessi che possono beneficiare del fatto che solo lo 0,66% degli scarti diventi rifiuto e il conseguente risparmio d’acqua e di suolo. Poi ci sono anche i ritorni economici. “Tutto ciò che è fuori dal vino — spiega Fabio Baldazzi, direttore generale di Caviro Extra — vale un terzo del fatturato, siamo nati come distilleria per gli alcol ma ora siamo qualcosa di completamente diverso”. Il fatturato complessivo della Caviro è salito a 330 milioni, madre natura e i soci ringraziano. La catena del riutilizzo è pronta ad allungarsi ancora. “Il nuovo impianto ci dà due flussi puri di anidride carbonica e metano — dichiara Sergio Celotti ad di Enomondo — tra-sformarli da gas a liquidi ci permetterà di vendere la CO2 all’industria senza disperderla, mentre il secondo è il sostituto più credibile del diesel su mezzi pubblici e trasporto pesante”. Più circolare di così.

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