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La Repubblica

Cantine piene domanda debole annata difficile per il vino … Più che il calo della produzione, preoccupano il rallentamento dell’export dopo la sbornia del Covid e le giacenze ferme nelle aziende… È un anno in chiaroscuro per il vino italiano. A preoccupare non è tanto l’annunciato calo della produzione dovuto agli eventi climatici estremi di maggio e giugno scorsi, quanto la diminuzione delle esportazioni e, soprattutto, le giacenze. Più che il prodotto, sta venendo meno il mercato. Secondo i dati di Cantina Italia del ministero dell’Agricoltura, a fine luglio negli stabilimenti vinicoli italiani erano presenti 45.5 milioni di ettolitri di vino, in pratica l’equivalente di più di 6 miliardi di potenziali bottiglie da 0,75 litri. Il calo dell’export - secondo l’Istat, meno 0,4 per cento a giugno rispetto allo stesso periodo del 2022 - insieme con l’inflazione e l’aumento del costo del denaro stanno penalizzando il settore. A venire meno, come confermano i dati dell’Osservatorio del vino, sono soprattutto Stati Uniti e Canada, mercati da sempre redditizi. Dei 3,3 miliardi di euro commercializzati nei primi sei mesi dell’anno, pari a poco più di un miliardo di litri, le esportazioni verso gli Usa hanno raggiunto 897,1 milioni di euro, con un calo del 6,8 per cento rispetto al 2022. Quelle verso il Canada, pari a 174,9 milioni, hanno fatto registrare una diminuzione più vistosa, il 16,2 per cento. Valori negativi anche in Asia: meno 14,3 per cento in Cina, dove l’export è sceso a 48,2 milioni; meno 5 per cento in Giappone, con volumi pari a 92,1 milioni; meno 33,6 per cento in Corea del Sud, dove sono stati raggiunti 28,1 milioni. Più articolata la situazione in Europa. Crescono dell’1,3 per cento la Germania, a 577,4 milioni; del 3,1 per cento il Regno Unito, dove nella prima metà dell’anno sono stati totalizzati 380,4 milioni; del 4,2 per cento l'Austria, per 65,4 milioni. Più marcato l’aumento delle esportazioni verso la Francia, cresciute del 18,4 per cento, per complessivi 165,5 milioni. Schizzano verso l’alto i dati della Russia, dove nonostante la guerra si registra un aumento del 64 per cento, per 67,2 milioni (l’embargo colpisce soltanto i vini il cui prezzo è superiore ai 300 euro per bottiglia). Cala, invece, tutta l’area scandinava. Il 2022, annata molto positiva per il settore vitivinicolo italiano, è un lontano ricordo. Ad appesantire i bilanci delle aziende, adesso, c’è la grande quantità di scorte accumulate negli stabilimenti. Una situazione che, come si evince dai rapporti mensili di Cantine Italia, riguarda tutte le regioni, anche se non in modo omogeneo. Il 55 per cento del vino si trova al Nord, prevalentemente nel Veneto, dove sono state accumulate giacenze per 10,6 milioni di ettolitri. Al secondo posto c’è la Puglia, con 5,3 milioni, seguita dalla Toscana, con 5,1 milioni. Il 53,2 per cento delle scorte è di vini Dop. “Abbiamo accumulato giacenze importanti - spiega Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione italiana vini -. Potrà sembrare un paradosso, ma nel periodo della pandemia l’acquisto di vino è aumentato. Non soltanto a livello di piccoli consumatori, ma anche i nostri compratori esteri, quando c’era la possibilità di far arrivare navi container, tendevano ad accumulare scorte nei magazzini. In questo modo, si è creata in molti produttori l’illusione che questa situazione si sarebbe protratta nel tempo. Così non è stato. Da quest’anno, come dicono tutti gli indicatori di mercato, in molti Paesi si sta vendendo quanto è stato conservato nei depositi”. Una vendemmia meno ricca, come si preannuncia nel 2023, potrebbe consentire di smaltire più facilmente le giacenze. “Gli eventi atmosferici di maggio e giugno - dice Frescobaldi - hanno danneggiato più il Centro-Sud, dove si raccoglierà meno uva. Nel complesso, andrà meglio nel Nord-Est, penso al glera (il vitigno del prosecco, ndr) e al pinot grigio, ma niente a che vedere con le quantità del 2022. Chi ha conservato bene le scorte, avrà l’occasione di metterle sul mercato. Qualche difficoltà in più potrebbe esserci per i bianchi, più delicati. Il vero problema sono l’inflazione e la perdita di potere d'acquisto, che oltreoceano come da noi stanno facendo calare i consumi. Se non scendono i tassi, la ripresa sarà più difficile”. Il rallentamento del mercato e il previsto calo della produzione pongono più di un interrogativo negli operatori vitivinicoli del Sud. Soprattutto in Puglia, seconda regione d'Italia per produzione, si comincia a ragionare di interventi mirati per cambiare l’approccio al mercato. “La situazione che si è creata - osserva Francesco Liantonio, presidente di Valoritalia, l’organismo di certificazione del vino italiano, e vicepresidente di FederDoc - è il risultato della combinazione di eventi e fattori macroeconomici negativi. La pandemia, la guerra, la crescita dell’inflazione e l'aumento del costo dell’energia hanno portato a un calo della rotazione del prodotto vino, che si attesta fra il 15 e il 20 per cento. Il 2023 sarà un’annata di scarico, ma questo non consentirà di smaltire del tutto le giacenze accumulate. Occorre rivedere il progetto vitivinicolo. In Puglia, per esempio, si continua a piantare in modo inconsapevole, mentre sarebbe necessaria una strategia diversa, che valorizzi le aree Dop. Nella sola Puglia ce ne sono 27, sono oggettivamente tante, ne basterebbero meno di 10 affidate ai consorzi di tutela. In questo modo, si potrebbe provare ad arrivare sui mercati come un sistema vitivinicolo che dia la priorità ai vitigni più pregiati”.

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