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La Repubblica

Trentodoc, bollicine di classe sulla scia di una leggenda … Le chiamano “bollicine di montagna” perché l’uva da cui nascono viene coltivata fino a 900 metri di altezza. Un unicum nazionale che ha fatto dello spumante Trentodoc il primo metodo classico a ottenere la Doc in Italia. E che quelle bollicine contengano aromi tipici delle terre alte che gli altri vini, coltivati più in basso, nelle pianure, non presentano lo certifica adesso anche una ricerca scientifica durata tre anni. La storia, però, è molto più antica e inizia nei primi anni del ’900 con la geniale intuizione di un giovane studente di quella che allora si chiamava “Imperiale Regia Scuola agraria di San Michele all’Adige”, oggi divenuta la moderna e tecnologica Fondazione Edmund Mach. Quel talentuoso e appassionato giramondo si chiamava Giulio Ferrari e fu lui — dopo numerosi viaggi studio in Francia dove carpì i segreti dello champagne — a dare vita a Trento alla prima produzione di spumante metodo classico. L’azienda di Giulio Ferrari venne poi rilevata dalla famiglia Lunelli che oggi ne ha fatto un colosso della produzione di bollicine, vini fermi, grappe e pure prosecco da oltre 100 milioni di euro di fatturato. Ma quel nome, Giulio Ferrari, è rimasto nella leggenda grazie all’etichetta che la famiglia Lunelli gli ha dedicato e che oggi viene unanimemente riconosciuta come uno dei vini sparkling più pregiati al mondo. Dalla pionieristica cantina nel centro storico di Trento di Giulio Ferrari sono passati 100 anni e oggi il Trentodoc è diventato un consorzio che raggruppa 54 case spumantistiche che producono con un unico marchio e che sottoscrivono il disciplinare di produzione. A loro spetta la tutela della qualità delle “bollicine di montagna”, prodotte rispettando rigidi canoni e controlli lungo tutta la filiera. La denominazione di origine controllata “Trento”, è infatti riservata a bollicine realizzate a partire da uve di provenienza esclusivamente trentina, principalmente Chardonnay, Pinot nero ma anche Pinot bianco e meunier, ottenute con il metodo della rifermentazione in bottiglia e un prolungato contatto con i lieviti. I numeri del Consorzio sono in costante crescita: 100 milioni di fatturato, 800 ettari di superficie totale di produzione e oltre 9 milioni di bottiglie prodotte. Coltivare viti fino a 900 metri di quota è più difficile che farlo in pianura. Ci sono più sbalzi termici, i fenomeni meteo sono più violenti. C'è la neve, il gelo. Ma la terra alta, a chi la sa maneggiare con passione, sa restituire prodotti di qualità superiore. A confermarlo, oggi, non ci sono solo i detti popolari, ma anche la scienza grazie ad una ricerca, durata tre anni, realizzata con il coordinamento dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, la partnership con la Fondazione Edmund Mach e quella del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Avvalendosi di una strumentazione analitica innovativa (che si chiama “gascromatografia bidimensionale — spettrometria di massa”) applicata per la prima volta ad uno spumante italiano sono stati analizzati 43 campioni di Trentodoc rilevando fino a 1700 composti volatili (dieci volte in più rispetto a quelli fino ad oggi conosciuti e in quantità simile ai grandi vini rossi più complessi). È emerso che ben 200 di questi composti, hanno concentrazioni caratteristiche per il Trentodoc: in particolare un centinaio di aromi (che fanno parte della categoria dei composti volatili) vengono sintetizzati nelle uve a causa delle elevate escursioni termiche (e non, per esempio da processi di produzione) ed hanno un range di concentrazione elevato e peculiare della zona. È questo il dato che permette di evidenziare un chiaro legame con il territorio: le bollicine di montagna non sono più solo un efficace slogan. Esistono davvero. E mentre la città di Trento si prepara al Natale con una serie di occasioni speciali per far degustare ai tanti turisti le bollicine di montagna (come l'iniziativa “Happy Trentodoc” che fino a domenica 8 dicembre proporrà viaggi enogastronomici in tredici locali selezionati dove si potranno degustare le eccellenze del territorio attraverso menù che percorrono idealmente la provincia di Trento, tutti con il comune denominatore del Trentodoc come “compagno di viaggio”) il presidente del Consorzio Enrico Zanoni guarda già al 2020: “Il metodo classico trentino — spiega — ha ancora ampi margini di crescita, soprattutto sul mercato domestico. I dati di vendita ci dicono che nella grande distribuzione il Trentodoc ha avuto un crescente successo. E i motivi sono essenzialmente tre: il primo perché piace ai giovani, il secondo perché è amato dalle donne e il terzo perché sta diventando un vino a tutto pasto, da consumare dall'aperitivo fino al dolce e non più solo in occasione delle festività. Inoltre, il nostro spumante è riuscito a proporsi come prodotto dalla qualità diffusa a prescindere dal tipo di produzione e dalla fascia di prezzo: dal brut ai millesimati fino alle riserve più importanti i consumatori possono contare su un vino che offre uno standard qualitativo altissimo e una grande eleganza nel gusto”. Un aspetto, quest'ultimo, che secondo Zanoni non può prescindere dalla collaborazione ormai consolidata tra i produttori delle uve e gli “studiosi” delle bollicine: “È stato ed è tutt'ora anche grazie agli enologi della Fondazione Mach che il Trentodoc riesce ad enfatizzare al massimo la qualità della materia prima da cui deriva. Del resto è agli stessi produttori che noi chiediamo di rispettare elevati standard di produzione in ossequio a progetti di qualità che come Consorzio abbiamo ormai da tempo deciso di perseguire”.

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