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La Repubblica

Carlo Petrini: “è tempo di cambiare. Le imprese diano il buon esempio” ...“L’orizzonteè tinto di verde, l’importante è che non sia un verde di facciata”. È un misto di entusiasmo e disincanto quello che emerge dalle parole di Carlo Petrini, che sarà tra i protagonisti del Festival di Green&Blue. Petrini è il fondatore di Slow Food, l’attivista e il gastronomo, il sociologo e lo scrittore di libri, di cui l’ultimo, Terrafutura (Giunti e Slow Food Editore), riporta le sue conversazioni con Papa Francesco sull’“ecologia integrale” e il destino del pianeta. Questa pandemia, ad esempio, Carlo Petrini, che cosa ci insegna? “Ci troviamo al centro di tre grandi crisi, quella economica, quella climatica e quella pandemica, tutte e tre irrisolte. Da dove si comincia? Credo dall'esigenza di costruire un nuovo umanesimo, che rinunci ai valori assoluti della competitività, del profitto a ogni costo, della produzione indiscriminata”. Cosa manca perché si passi dal’idealismo ecologista a una pratica virtuosa dei governi? “Ci vuole un salto di qualità, il coraggio di scelte radicali. Guardiamoci intorno:  oggi, malgrado la spinta data da Greta alla causa ambientalista, ci troviamo in una fase di stallo, e se non si mette in azione un concorso di prese di posizione politiche precise, ci resteremo”. Cosa l’ha colpita di più nella presa di posizione di Papa Francesco sull’ecologia? “Soprattutto il fatto che non è arrivata all'ultimo momento. La sua enciclica Laudato si’ è del maggio 2015, ed è stata presentata in funzione della conferenza di Parigi, mostrando così di voler dare un  sostegno agli impegni presi in quell'occasione dai governi. Erano impegni importanti, che sono stati nel tempo rimangiati, a dimostrazione che la situazione in questi cinque anni invece di migliorare è peggiorata. Il fatto che Papa Francesco insista su queste tematiche dentro e fuori dalla Chiesa è oggi tanto più fondamentale, soprattutto se si pensa all’impulso negazionista impresso da Trump e Bolsonaro”. Perché secondo lei è così difficile per le imprese e per il mondo del lavoro adattarsi a politiche industriali green, anche quando gli indicatori parlano a favore di un maggiore sviluppo sul lungo termine? “Il cambio di paradigma non è semplice, tanto più in una fase in cui è data per acquisita una sensibilità diffusa della società civile sui temi ambientali. C’è però la tendenza a sposare i termini della sostenibilità senza poi applicarla, una sorta di greenwashing. Le imprese dovrebbero dare risposte concrete al cambiamento: affrontare i temi dell'acqua, delle emissioni CO2, delle polveri sottili, del riciclo dei rifiuti, della salubrità dei suoli... Se non parte un cambiamento vero, fatto di analisi e politiche precise, il mutamento sarà solo di facciata”. Come convive secondo lei la ripresa dei consumi, di cui molto si parla in questa fase, con il rispetto dell'ambiente? “Convive poco, perché una delle cause del disastro ambientale è proprio la bulimia dei consumi, che ci ha portati a consumare in modo eccessivo e ad accrescere la quantità di scarto. Quando si parla di sostenibilità si dimentica che il sustain, in inglese, è la proprietà di uno strumento musicale di mantenere il suono nel tempo dopo essere stato suonato. La sostenibilità è la capacità di durare: la logica del consumo prevede che ogni oggetto meno dura e meglio è”. Le nuove generazioni sono quelle più sensibili ai temi ambientalisti, ma allo stesso tempo le più orientate al consumo: come se ne esce? “Con un grande processo educativo e un grande lavoro di comunicazione. Ecco, mi auguro che anche una novità come “Green&Blue” assuma su di sé il peso politico di questo compito, e diventi un’occasione di dibattito e di sviluppo virtuoso”.

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