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La Repubblica

In Romagna si vendemmia l’energia … Caviro riunisce 12.400 viticoltori. Che, con gli scarti della lavorazione del vino, fanno anche tanto altro… Dell’uva non si butta via niente, perché quel che resta può valere decine di milioni di euro. Lo ha capito presto e bene Caviro, il gigante del mercato dei vini che da molti anni fa della circolarità un principio irrinunciabile. Il Gruppo Cooperative Associate Viticoltori Romagnoli, fondato nel lontano 1966 per iniziativa di alcune cantine sociali delle province di Faenza, Forlì e Ravenna, nacque per permettere ai viticoltori di presentarsi sul mercato insieme, e dunque più forti. Ma siccome uno dei principi della cultura contadina è che lo spreco è il peggior peccato, da subito, attraverso la Caviro Extra, si studiò il modo per riutilizzare i residui della lavorazione dell’uva. Dalla vinaccia, oltre all’alcool da stoccaggio e distillati per grappe e brandy, hanno imparato a estrarre prodotti nobili come l’acido tartarico e, dopo un lunghissimo ciclo di sfruttamento, a trasformare quel che resta dei chicchi d’uva in biomasse e biogas. Energia sostenibile che contribuisce a coprire il fabbisogno energetico degli stabilimenti Caviro, a consentire di usare energia prodotta al 100 per cento da fonti rinnovabili (lo stabilimento inaugurato nel 2019 ha una potenzialità produttiva di 12.000.000 Nm3 di biometano purissimo), ma anche di utilizzare un camion alimentato a biocarburante per trasportare il vino nei centri commerciali. Certificato Equalitas per la sostenibilità economica ambientale eco-etico-economica, il Gruppo Caviro oggi raggruppa 12.400 viticoltori con 33.600 ettari di vigneti, con un fatturato di ben 390 milioni di euro. Un giro d’affari legato per il 65 per cento alla produzione del vino e per il 35 all’aver saputo riconoscere come risorsa quello che gli altri consideravano rifiuto. “Qui, Dove tutto torna” dicono i soci, e per questo anche loro appartengono alla schiera dei nostri #GreenHeroes.

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