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La Repubblica

La vendemmia della svolta … L’annata 2022 ha sbaragliato ogni record per caldo e siccità. Il raccolto alla fine è più abbondante del previsto. Ma il cambiamento climatico è irreversibile, minaccia la vite e rischia di influenzare gusto del vino e consumi: inizia una nuova era… Sarà difficile dimenticare l’annata 2022. “Una vendemmia per cuori forti”, ironizza ma non troppo l’enologo Gianpiero Gerbi. Un mese e mezzo e qualche pioggia fa, a inizio agosto, nel vigneto Italia serpeggiava il panico. La siccità prosciugava le piante e si temeva un raccolto misero con una qualità altalenante. Oggi, quando la vendemmia è alle fasi finali, quasi ovunque si tira un sospiro di sollievo. Assoenologi, Unione Vini e Ismea stimano che la quantità raccolta sia in linea con il 2021, con criticità maggiori in alcuni territori come Nord Ovest (Piemonte e Lombardia) e parti di Veneto e Sicilia. E il sentiment generale fa riferimento a una “qualità da buona ad alta con punte di eccellenza”, come spiega il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella. Attenzione, però, a cantare vittoria: l’emergenza clima incombe. Imprevedibilità e clisomogerieità sono le nemiche giurate dei viticoltori. Ma c’è di più: il cambiamento climatico potrebbe modificare in maniera significativa il sapore del vino, influenzando i consumi. E per questo che bisogna continuare a intervenire, in vigna, ma anche in cantina, col supporto prezioso della tecnologia. “Fare il vignaiolo non è un mestiere per chi non ha nervi saldi e di sicuro non è per chi non ha la flessibilità per adattarsi a situazioni nuove - esordisce Martin Foradori Hofstâtter dell’omonima tenuta di Termeno in Alto Adige, con vigneti anche in Trentino e in Germania, lungo la Mosella - La 2022 è stata anche per l’Alto Adige un’annata calda, con assenza di piogge ma i terreni argillosi, pratiche agrononiiche mirate e, dove possibile, irrigazione a goccia hanno fatto sì che le vigne non abbiano sofferto le alte temperature: l’acidità dei vini altoatesini è salva. Questa è la mia 30esima vendemmia e ciascuna è stata diversa dall’altra”. Gerbi racconta l’altalena che ha caratterizzato le vigne in Piemonte, con una vendemmia torrida per le varietà precoci, e maturazioni più regolari per le uve tardive: “Nebbiolo e Freisa hanno avuto un buon decorso, invece Barbera, Cortese e Arzeis hanno mostrato maggiori disomogeneità”. Conferma le criticità nel Nord Ovest l'enologo Giuseppe Caviola: “Terreni molto stanchi e sfruttati sono meno capaci di rispondere in modo efficace a grossi stress climatici. Quindi dove si è lavorato negli anni si riuscirà ad avere vini interessanti, anche se con una produzione in calo di circa un 25-40% dovuta, tra l’altro, alle basse rese in mosto. I rossi hanno qualche chance in più perché hanno un ciclo vegetativo più lungo e riescono a beneficiare maggiormente delle piogge”. Lo conferma Lamberto Frescobaldi, presidente Marchesi Frescobaldi, presente in Toscana da Montalcino al Chianti Classico, dal Chianti. Rufina a Pomino fino alla Maremma: “Da diversi anni lavoriamo i nostri terreni profondamente subito dopo la vendemmia e questo ha tatto sì che abbiano potuto immagazzinare acqua durante l’inverno”. Dalla Sardegna, ottimista ma con le antenne dritte Valentina Argiolas dell’omonima azienda di famiglia: “Le piante stanno reagendo bene al caldo grazie a un inverno che da noi è stato piovoso. Ma la cosa peggiore non sono le temperature massime, ma le minime che risultano sempre più alte”. Pone l’accento sull’imprevedibilità, Giacomo Manzoni, capo agronomo del Gruppo Zonin1821: “La siccità ormai va sempre più considerata: è un trend negativo che si è manifestato negli ultimi 5 anni e che non possiamo prevedere. Ma le piogge di agosto hanno permesso alle piante di riprendersi. E ci aspettiamo ottimi risultati”. Cosa invece dobbiamo aspettarci dal futuro? Il viticoltore piemontese Enrico Rivetto sottolinea come il metodo di coltivazione biodinamica faccia bene alle piante: “I terreni aumentano la componente umida che accresce la capacità del suolo di accumulare, trattenere e conservare l'acqua quando piove, gestendo meglio le riserve idriche. La nostra coltivazione, inoltre, favorisce l’espansione e l'approfondimento delle radici che, esplorando più suolo, trovano più acqua. Questo rende le piante e il terreno capaci di affrontare gli stress”. Auspica un cambio di passo Nicola Blasi, enologo e produttore di uve resistenti, che sottolinea come vini blasonati stiano già modificando un po’ il blending di uve proprio per aggiustare il tiro del gusto del vino, influenzato dalle temperature alte: “Per mantenere uno standard qualitativo come in passato, bisogna aggiornarsi. I vitigni resistenti, oltre all’indubbia maggiore sostenibilità ambientale, ci potrebbero garantire performance qualitative migliori. I primi mosti 2022 ci stanno regalando dei rapporti tra zuccheri e acidità ideali”. A Bordeaux lo scorso anno le autorità hanno dato il via libera ai produttori di vino a sperimentare nuovi vitigni, purché non rappresentino più del 10% del blend finale. E in Napa Válley si sta studiando come gestire la problematica dei sentori del fumo degli incendi legati alla siccità che invade le vigne depositandosi sulle uve. Insomma, la preoccupazione è globale. “La qualità del raccolto dipende dall’abilità dei viticoltori di adattarsi ai cambiamenti del clima - dice Cristina Mercuri, wine educator - Una proiezione stima che regioni iconiche come Bordeaux, Borgogna o Barolo non saranno in grado di produrre vini di alta qualità dopo il 2050. In generale, il rischio è un cambiamento nel profilo del gusto (oltre che del potenziale evolutivo) con vini rossi poco colorati e con tannini verdi, e vini bianchi più alcolici e meno rinfrescanti, con sentori maturi che abbassano la piacevolezza di beva e rendono il vino più piatto. Ciò potrebbe provocare la diminuzione dell'offerta di certi stili come gli spumanti, con impennata dei prezzi e limitazione all’accesso da parte di una fetta di consumatori meno abbienti - spiega Mercuri - Certo, sto estremizzando, ma tutto ciò va tenuto a mente per tutelare un patrimonio di grande valore”. E i primi campanelli di allarme cominciano a suonare anche a livello commerciale. Lo sottolinea Denis Pantini, responsabile di Nomisma Wine Monitor: “Se col global warrning sale la temperatura e cresce il grado alcolico dei viti, ciò comporta una forte penalizzazione peri vini italiani in considerazione di una domanda che, a livello trasversale, si sta orientando sempre di più verso vini leggeri e con meno alcol. Nei Paesi scandinavi e nel Nord Europa i rossi strutturati hanno un buon posizionamento di mercato, questa “evoluzione” risulta meno discriminante per i nostri vini, ma nel Sud Europa, i vini con più alcol sono penalizzati nel consumo. Il riscaldamento globale non solo sta spostando verso Nord la coltivazione della vite, ma sposta anche il consumo, in particolare per i vini rossi più strutturati”. Finirà che “si coltiverà Glera in Inghilterra e mango in Italia!”, è la battuta amara del wine expert Charlie Arturaola.

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