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La Repubblica / Affari & Finanza

Qualità e esportazioni, il grande boom del vino.
E’ la sola voce attiva della bilancia agricola. Migliaia di cantine, oltre mezzo milione di addetti, cinquanta milioni di ettolitri l’anno. Ma non bisogna trascurare le ombre ...
Raccontano le cronache da quelle letterarie a quelle politiche che Oltralpe monta una sorta di "antipatia" per noi italiani. È un derby infinito il Francia Italia giocato su tutti i terreni. Ma ce n'è uno dove storicamente i francesi non accettano neppure la sfida: cucina e cantina. Convinti di una ineguagliabile superiorità, sembra loro addirittura improponibile il confronto. Stando al vino, invece, la grande Francia ha problemi di esportazione, è aggredita dentro i suoi confini, e grandi chateaux (che numericamente valgono pochissimo), qualche borgognone e grandi champagne il cui consumo è peraltro in calo a parte non brilla più sui mercati che contano (primo fra tutti quello americano). Il concorrente più temibile per i francesi? Ma l'Italia. La prova è il boom delle nostre esportazioni sul mercato Usa. Abbiamo venduto in America vino per 515 milioni di dollari e copriamo il 37 per cento delle loro importazioni con un balzo in avanti dell'11 per cento dal 2000 al 2001. I cugini d'Oltralpe hanno perso l'1 per cento della loro quota (rappresentano il 21 per cento dell'import Usa) per un valore di 500 milioni di dollari. Quindici in meno dell'Italia.
Se ne avrà contezza da giovedì al Vinitaly di Verona, chiamato a celebrare i nostri primati: non più solo quantitativi (anche se abbiamo perso un buon 4 per cento di produzione in un solo anno, restiamo pur sempre il maggiore giacimento vinicolo del pianeta con circa 50 milioni di ettolitri), ma ora anche qualitativi (per il secondo anno consecutivo un vino toscano è stato incoronato da Wine Spectator il migliore del mondo) e per fatturato (il nostro export pur riducendosi in volumi cresce in fatturato di oltre il 18 per cento in un biennio). Raccontato così il comparto vinicolo che vale per l'Italia in termini di fatturato allargato 20 miliardi di euro ed è la sola voce attiva della bilancia agricola con un surplus in costante crescita, distribuito su circa 6 mila cantine per un'occupazione complessiva di circa 500 mila addetti anch'essa in crescita, sembra la Ferrari di Schumacher. Ma sarebbe un errore fermarsi a celebrare soltanto: infatti non ci sono solo luci, ci sono anche ombre.
E se quelle francesi sono inquietanti, le nostre sono appena occultate dal successo d'immagine e dal crescere costante dei prezzi. Il boom riguarda soltanto i grandi vini di qualità e quasi esclusivamente i rossi Doc e Docg che hanno spuntato aumenti in un anno di oltre il 24 per cento, come ha rilevato l'Osservatorio del Salone del Vino, l'altra importante rassegna in programma a fine novembre anche quest'anno a Torino. Ezio Rivella, eccellente enologo ma anche manager di grande intelligenza, presidente dell'Unione Italiana Vini, più volte ha invitato a considerare tutto il pianeta vino. E a frenare gli entusiasmi. Perché se è vero che il Roe delle cantine più rinomate è passato dal 4,2 al 10,2 per cento del fatturato nell'arco di cinque anni è anche vero che solo il 38 per cento del vino italiano finisce in bottiglia e che ancora più esigua e la porzione di quello a denominazione: cioè capace di spuntare prezzi fortemente remunerativi. Guardando anche all'export si scopre infatti che solo Doc e Docg incrementano in quantità (più dieci per cento) e molto più decisamente in valore, ma la massa del vino italiano si vende meno e a meno. Ed emergono all'orizzonte i paesi del nuovo mondo: Cile, Uruguay, Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda. Per non dire dell'incalzare in Europa di concorrenti temibili come la Spagna e senza contare il possibile allargamento ad Est della produzione.
Allora si pensa ad una lunga lista di questioni aperte: la distillazione obbligatoria, la necessità di portare avanti e con forza il rinnovamento del vigneto Italia (ridotto ormai a poco più di 800 mila ettari dal milione e mezzo di dieci anni fa), i problemi di collocamento del cosiddetto vino comune (i francesi comprano assai meno cisterne che in passato), la politica comunitaria che ci penalizza, la difesa dei nomi e delle denominazioni, il lievitare del prezzo dei terreni nelle zone viticole di maggior pregio. Negli ultimi cinque anni i prezzi si sono duplicati e in alcuni casi gli incrementi sono stati ancora più forti. Ormai un ettaro di vigneto in Trentino si paga oltre 500 mila euro, in Chianti attorno ai 300 mila, così in Maremma e anche nel Sud l'impennata è stata notevole, si parla di almeno 100 mila euro. Per un verso questo è un indice di "salute" del comparto, anche perché si sa che l'asset di maggior peso per una cantina è proprio la rivalutazione fondiaria, per un altro verso questo è un limite alla crescita delle piccole aziende. Che rischiano la colonizzazione. Dunque piuttosto che una "guerra", sarebbe il caso di coltivare un alleanza Italia Francia per risolvere problemi comuni tenendo conto che siamo di fronte ad un mercato del vino in contrazione di consumi: in Italia siamo ad appena 56 litri a testa e beviamo meno di inglesi, tedeschi e francesi e per contrastare "avversari" commerciali di entrambi. Primi fra tutti gli americani che già hanno cominciato lo shopping sul vecchio continente di aziende e vigneti di altissimo pregio.

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