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La Repubblica / Affari & Finanza

Vino, un boom a rischio per i prezzi troppo alti. Il settore è in fortissima ascesa e l’Italia ha conquistato un primato nell’export, anche qualitativo. Ma i costi delle bottiglie sono un grande problema, e della forsennata ascesa cominciano a fare le spese Barolo e Brunelli ma anche certi vini del sud, che hanno subito un stop sui mercati esteri ... Soccorre il manzoniano «Fu vera gloria?» per parlare di questo Vinitaly che si avvia a celebrare (alla Fiera di Verona dal 10 al 14 di aprile e in contemporanea si tengono il Sol, salone dell'olio, e Vintour rassegna dell'enoturismo comparto in fortissima ascesa con 5 milioni di presenze, 200 tour operator specializzati e 2,5 miliardi di euro di fatturato) i fasti del vino mostrano che ha conquistato ormai stabilmente un primato quantitativo (che peraltro già deteneva), uno qualitativo e quello dell'export. In termini di fatturato assoluto abbiamo, finalmente, battuto la Francia. Ma rimandare ai posteri «l'ardua sentenza» sarebbe un errore di prospettiva gravissimo. Perché il vino spesso lo si dimentica è prodotto agricolo e segue i ritmi della natura. E se ha qualche problema conviene affrontarlo di petto. Ne mettiamo giù un paio prima che la kermesse veronese abbia inizio. Patirà, lo diciamo in anticipo, i cronici problemi organizzativi: pochi parcheggi, code interminabili, allegre comitive che scorazzano tra gli stand, bagarinaggio spinto, caos nei padiglioni. E ci sarà la solita roboante statistica: milioni di visitatori per testimoniare che il vino è trendy. Peccato che le questioncelle di cui sopra fanno domandare se Verona è consapevole dell'importanza di questa fiera, se si è accorta che non ha più il monopolio espositivo del vino (c'è il Salone del vino di Torino, e il prossimo anno ne debutterà uno milanese).
Si dirà, ma perché disturbare il sogno? Per due ragioni: un vero amore del vino e perché è tempo di ricondurre a razionalità il settore. Un esempio? E' fresco di stampa (l'editoria si fa per dire enoica è in una stagione d'oro). C'è stato un attacco frontale a una bottiglia simbolo: Sassicaia. Sarebbe trascurabile perché chi ha degustato e recensito si nasconde dietro l'anonimato e non pare abbia curriculum. Tuttavia poiché siamo in derby continuo con i francesi varrebbe la pena di imparare da loro. Per affermare, sul serio, una tradizione non si infangano le griffe, soprattutto quando non ce n'è motivo. Perché a veder bene il Sassicaia è oggi un grande vino a un prezzo "accettabile". Ed ecco il primo grande problema: i prezzi. Siamo fuori da ogni logica. E' capitato a chi scrive di vedere un Rosso Conero al debutto in carta a 190 euro! Per questa via il vino sarà sfrattato dall'orizzonte dei consumi perché ci dice la statistica che gli italiani in media non sono disposti a spendere più di 10 euro per bere bene. Dei prezzi in forsennata ascesa comincia a fare le spese il Barolo che sui mercati internazionali ha avuto uno stop, ma anche certi Brunelli e certi vini del Sud non scherzano. Il mercato internazionale è in pesante contrazione, quello interno è riflessivo, continuare per questa via significa trovarsi con le cantine piene. Perché la grande distribuzione ha ormai il 40% del mercato e a parte i corner riservati alle griffe enologiche sulle gondole piazza bottiglie che hanno un giusto equilibro tra costo e beneficio. Fateci caso: tra quegli scaffali cominciano a comparire vini cileni, australiani, sudafricani, argentini. A fare da contraltare a questo fenomeno c'è quello tutto italiota delle Guide che premiano o i vini cosmetici (quelli fatti per impressionare i degustatori) o i vini virtuali, prodotti in così pochi esemplari da essere quasi indisponibili. Se a questi vini si affida l'immagine del made in Italy c'è da star certi che sui mercati internazionali sarà vita dura, perché il gusto sta cambiando e perché le bottiglie si devono trovare.
Le risposte a questi "problemi" ci sono e si cominciano a intravedere: c'è una forte rivalutazione degli autoctoni, c'è un tentativo di raffreddare i prezzi dei vini soprattutto al ristorante, c'è una forte professionalizzazione del settore.
Perché raccontati i punti deboli (tra questi c'è la flessione dei vini sfusi con problemi di stoccaggio) converrà celebrare i punti di forza. Il mondo del vino vale 8 miliardi di euro, impiega 1,5 milioni di addetti, fattura all'estero 2,5 miliardi di euro ed è la principale voce attiva della bilancia agricola (da solo vale il 17 per cento del nostro fatturato estero agoalimentare). L'Italia è il primo paese al mondo per quantità prodotte (45 milioni di ettolitri lo scorso anno con una flessione del 20 per cento rispetto all'anno precedente) per quantità esportate (15,6 milioni di ettolitri) e per fatturato estero (2,5 miliardi di euro con la Toscana che detiene saldamente la leadership). La sua quota mondiale corrisponde ad un quarto dell'intero mercato. Le aziende del vino hanno un utile netto di 75,5 milioni di euro più che triplicato in sei anni e un Roe che è passato dal 4,2 del '96 al 10,2 % nel 2000. Senza contare l'incremento di valore delle patrimonializzazioni agricole (terreni ed edifici). Le aziende imbottigliatrici sono 30 mila, quelle agricole 800 mila. Ma anche nelle cifre positive si intravedono elementi critici. Eccone alcuni: appena poche centinaia sono le aziende che hanno più di 50 ettari, meno di 50 quelle che superano i 30 milioni di euro di fatturato e che da sole coprono circa un terzo del mercato. C'è dunque un forte rischio di colonizzazione. L'Italia continua a perdere superficie vitata (siamo ameno di 700 mila ettari, la metà rispetto a dieci anni fa) anche se c'è stata, per seguire il mercato, una profonda riconversione. Oltre un terzo dei vigneti oggi è destinato a produzione di vini a denominazione che peraltro sono quelli che si vendono di più. Le tendenze di mercato infatti dicono che il consumatore vuole vino in bottiglia (per la prima volta lo scorso anno l'export con etichetta a superato lo sfuso) e lo vuole rosso (è il 53 % del mercato). E soprattutto ne vuole più: dai 59 litri pro capite stiamo tornando oltre i 60. Una conferma che il vino è "nonsolomoda".

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