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La Repubblica / Affari & Finanza

Il marketing conquista le piccole vigne: in Chianti si sperimenta un network con un grande marchio per affermarsi all’estero ... Per chi non è del mestiere può sembrare strano che un produttore di vino in Toscana, che opera magari nell’area del Chianti o nella zona di Montepulciano abbia bisogno di investire nel marketing. Si potrebbe pensare che la reputazione del made in Italy e, soprattutto, di quella regione sia tale da non richiedere particolari sforzi in termini di commercializzazione. Eppure, anche in questo settore, la concorrenza aumenta di giorno in giorno, soprattutto da parte dei paesi più lontani, prima fra tutti l’Australia che dimostra, oltre a eccellenti prodotti, una notevole aggressività sul mercato.
Ecco allora la necessità, per tutti, di rafforzarsi, di trovare sbocchi nuovi, difendere il mercato nazionale e penetrare nuovi canali all’estero. Se si è grandi e con un marchio molto noto, il problema si risolve andando a stringere accordi strategici con validi importatori e aziende straniere. Se si è piccoli le cose si complicano e la globalizzazione rischia di rimanere solo una minaccia e mai un’opportunità.
«E’ abbastanza ovvio che per noi l’unica strada per essere competitivi è quella della collaborazione, che passa attraverso accordi tra produttori: da soli non si riesce ad avere né visibilità né sufficiente peso contrattuale», spiega Francesco Mazzei, amministratore delegato di Castello di Fonterutoli, uno dei marchi più prestigiosi del Chianti Classico (tra i principali prodotti "Castello di Fonterutoli" e "Siepi"), che vuole costituire un network tra mediopiccoli produttori toscani.
Il problema della eccessiva frammentazione dell’offerta nel mercato vitivinicolo è particolarmente difficile da risolvere, perché i singoli imprenditori rimangono restii ad abbandonare il loro innato individualismo, convinti come sono di avere sempre qualcosa in più e di meglio rispetto a tutti gli altri concorrenti.
«Già adesso la nostra azienda commercializza marche di altri produttori, ma non basta perché il nostro intento non è certo quello di sostituirci ai distributori – aggiunge Mazzei – Sono convinto che la collaborazione tra produttori debba iniziare molto prima, già nella fase a monte, quella dello studio della domanda e della progettazione dell’offerta». L’idea di fondo è quella di unire varie aziende — situate, per esempio, nelle aree del Chianti classico, della Maremma o di Bolgheri – con dimensioni e livelli analoghi, che pur mantenendo la propria identità affrontino congiuntamente tutte le attività necessarie per una corretta gestione del rapporto con il mercato. «Il problema delle Pmi che si aggregano per raggiungere una massa critica è complesso – commenta Gaetano Fausto Esposito, direttore di Assocamerestero, e curatore di un libro intitolato La globalizzazione dei piccoli(Franco Angeli) – perché il più delle volte il desiderio di non perdere la propria autonomia rende difficile raggiungere concrete sinergie di tipo commerciale. Per essere credibili ed efficaci nei confronti della clientela, soprattutto quella estera, occorre un forte collante, che leghi insieme le diverse offerte. Se questo non è un brand "a ombrello" (che è utile ma alla lunga rischia di penalizzare i singoli marchi), può essere un territorio, un’area geografica comune, che va promossa insieme ai singoli prodotti che ad essa fanno riferimento». In sintesi: la strada è quella del comarketing prodottoterritorio. (*) Università Roma Tre

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