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La Repubblica / Affari & Finanza

Vino, un boom frenato dall’impennata dei prezzi: il prodotto italiano paga i suoi eccessi: rincari talvolta ingiustificati, strabismo verso il mercato, rialzo dei terreni fondiari Così le maggiori cantine si vedono costrette a rifare i conti al ribasso rispetto alle previsioni ottimistiche di un anno fa … Il vino italiano si compiace di voti e giudizi delle guide, danza da una degustazione all’altra e alimenta un circo mediatico dove i dati economici vengono stemperati in una impalpabile nuvola di sentori alla moda, amplificata dalle aste dove capita di veder battere bottiglie fino a 5 mila euro al pezzo. Ma stavolta la bottiglia è mezza vuota. L’indagine Mediobanca sui bilanci di 50 aziende (rappresentano il 29% del fatturato di settore) appena un anno fa disegnava un futuro spumeggiante. Utili incrementati del 10 %, fatturato in salita dell’8 per cento, Roi (rapporto reddito investimenti) all’11,8 per cento e superiore a quello dell’industria manifatturiera, dinamicità nell’innovazione di prodotto con la creazione di 672 nuovi vini, accorciamento della filiera con la grande distribuzione canale privilegiato per i vini "quotidiani" (37 % delle vendite), i grandi vini collocati quasi in esclusiva dalle enoteche (42,9%) che diventano delle "boutique di Bacco".
Ma su questo cielo così sereno improvvisamente si è addensata una violenta perturbazione: stop dei consumi, brusca frenata dell’export. Non è solo per via di un raccolto in tono minore, quello appena trascorso, che ha interrotto - verrebbe da dire finalmente, ricordando così che l’uva è un prodotto della terra e sottostà ai cicli della natura - una sequenza impressionante di "vendemmie del secolo". Il vino italiano in questi ultimi mesi paga i suoi eccessi (rincari talvolta ingiustificati, strabismo verso il mercato che si presume riassunto solo dai pochi milioni di bottiglie dei topwines, impennata dei prezzi fondiari), alcuni insuccessi politici in sede comunitaria (la mancata abolizione, o quanto meno un allargamento, delle quote di produzione) e una difficile congiuntura economica sia interna che internazionale. Le maggiori cantine italiane si vedono costrette a rifare i conti al ribasso. L’allarme lo ha dato Piero Antinori - forse il più noto degli imprenditori enologici - che ha dichiarato apertamente «abbiamo corretto le stime: non cresceremo in fatturato che dello 0,8%» mentrre Gianni Zonin, che guida il più importante gruppo vinicolo privato e detiene con oltre 1800 ettari il maggiore vigneto italiano, nota: «I consumi sono in contrazione, siamo in una fase ciclica riflessiva e dobbiamo gestirla». Anche Angelo Gaja - osannato come una star al recente WineExperience di New York - ha detto chiaro agli americani: «Non boicottate il vino francese, noi italiani la sfida vogliamo vincerla giocando ad armi pari, non abbandonate il vino, bevete con moderazione, ma concedetevi questo piacere».
Tre pareri che pesano più di qualsiasi statistica e disegnano un quadro economico non brillante. A soffrire di più sono le produzioni intermedie, aggredite dalla concorrenza di Cile, Argentina, Sudafrica, Australia dove non ci sono né limiti di produzione né regole, e da paesi come la Spagna che tengono bassi i prezzi per riempire gli spazi che francesi, soprattutto, e italiani hanno lasciato sui mercati di consumo più importanti e ora meno ricchi: Usa e Germania.
E’ su questo scenario che il Salone del Vino di Torino alza il sipario dal 16 al 19 novembre. Proprio in apertura della Fiera, l’Osservatorio permanente del Salone del Vino presenterà un report che disegna il profilo del consumatore di vino. E dai primi dati si apprende che c’è stata un’ulteriore contrazione dei consumi: solo 49 litri a testa distribuiti su di una platea (per quanto riguarda il mercato interno) di 24 milioni di consumatori abituali, la stragrande maggioranza dei quali non è disposta a spendere più di 3 euro per il vino quotidiano. Un mercato che appare molto segmentato e dove sono poco più di 6 milioni coloro i quali "vivono" il vino come piacere, status symbol, marcatore di uno stile di vita. E’ su questa platea che fanno leva le cantine per incrementare i loro giro d’affari, ma è un perimetro troppo limitato. Che il settore dopo anni di pingui affari abbia bisogno di una riconversione e di una nuova spinta lo conferma anche il varo dell’Enoteca d’Italia, un nuovo strumento di promozione voluto dal sottosegretario Teresio Delfino, che debutta alla rassegna torinese.
L’allarme è suonato con le stime dell’Ismea sull’anno in corso. Cominciamo dalla produzione: si è attestata a 46 milioni di ettolitri, lontanissima dai fasti del ‘99 quando di vino se ne fecero quasi 59 milioni di ettolitri. Ma a preoccupare è soprattutto il dato dell’esportazione: nei primi sei mesi c’è stata una brusca frenata che ha colpito anche le bottiglie di pregio. In termini di quantità abbiamo perso il 19% (abbiamo venduto poco più di 6 milioni di ettolitri) e solo una forte impennata dei prezzi ha limitato i danni per quanto riguarda i valori (meno 3%) ma nel segmento dei vini da tavola la caduta è stata pesantissima: meno 28 per cento, mentre Doc e Docg sono scesi in quantità del 9 per cento e dell’8 per cento in valore. Dati preoccupanti se confrontati con le performance dell’anno prima quando abbiamo chiuso con un attivo di quasi 2,5 miliardi di euro di export. Ma ancora più severi se si tiene conto che la Spagna nel primo semestre del 2003 ha incrementato il suo export del 30 per cento e che l’Australia ha chiuso il 2002 con un incremento del 28 per cento delle sue vendite estere. C’è di che riflettere anche perché il vino in Italia è diventato il maggior business del settore agricolo con un fatturato di oltre 8,5 miliardi di euro, circa 15 mila aziende interessate per poco meno di un milione di occupati.
Per sostenere questo settore è indispensabile aprire nuovi mercati (il Salone del vino organizza un workshop con buyers di tutti i paesi dell’Est europeo), rilanciare i consumi (ecco l’iniziativa Enoteca d’Italia), raffreddare i cartellini. Anche se appare molto difficile visto che il mercato delle uve è in tensione con aumenti della materia prima che vanno dal più 8 per cento dei pinot fino al più 28% dello chardonnay a marcare una nuova tendenza: la ripresa degli spumanti e dei vini bianchi. Spuntando prezzi al consumo mediamente inferiori ai rossi, si addicono di più ai tempi da bottiglie mezze vuote. Perché alla crisi conviene comunque brindare.

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