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La Repubblica / Affari & Finanza

Export, la grande minaccia arriva dall’Australia ... Questo sarà il vero "annus horribilis" per le bottiglie made in Italy: indiscrezioni confermano che nei primi tre mesi dell’anno il vino italiano ha perso un 6% di fatturato esportato. Una botta sonora rispetto al più 30% degli australiani, i più agguerriti tra i competitor dei paesi vinicoli emergenti ... Come gli scolari i produttori di vino aspettano la pagella e temono una bocciatura. La pagella sono i dati dell’export del primo trimeste di questo che sarà il vero annus horribilis per le bottiglie made in Italy. Indiscrezioni confermano che nei primi tre mesi dell’anno il vino italiano ha perso un 6 per cento di fatturato estero. Una botta sonora se confrontata al più 30 che stanno facendo gli australiani, per adesso i più agguerriti competitor tra i paesi del nuovo mondo vinicolo, e che si accompagna a un leggero, ma significativo, progresso degli spagnoli. Consolarsi con la performance ancora peggiore del vino francese (i negocian di Bordeaux hanno le ultime due vendemmie completamente stoccate salvo che nel caso dei premier cru), vale a poco. Anche perché il derby con la Francia due anni fa lo avevamo vinto sia in termini di quantità (l’Italia è il primo paese produttore al mondo) che di incremento assoluto del fatturato realizzato nei paesi terzi. Ora però sono tempi di bicchiere mezzo vuoto. Le cause? La congiuntura internazionale, il blocco del mercato tedesco il più importante per noi, i prezzi. Si dice che sono troppo alti e forse in buona parte è vero, certo è che sono percepiti come tali. Ed è sicuro che al litro il vino italiano è cresciuto di mezzo euro (da 2,8 a 3,3). Allora ecco Gianni Zonin, il più importante imprenditore vitivinicolo in termini quantitativi, rilanciare la sua proposta di «abbattere l’Iva sul vino al 10 per cento anche per allinearsi ai paesi che ci fanno più concorrenza». Pier Domenico Garrone, presidente dell’Enoteca d’Italia la struttura di promozione creata dal Ministero per lo politiche agricole, ha intenzione su questo fronte di «arrivare ad un monitoraggio continuo dei cartellini almeno nella grande distribuzione per dimostrare che all’origine il vino non costa così caro» e fare di questo un cavallo di battaglia nell’azione di marketing anche internazionale. L’Enoteca Italiana l’ente pubblico storico dell’Italia del vino, ha invece in mente una doppia offensiva. Spiega il presidente Flavio Tattarini: «Bisogna allargare il perimetro di consumo e noi con il progetto vino e giovani lo stiamo facendo. Basti dire che solo a Roma per le Viniadi si sono iscritti in 1200. Poi però bisogna rimettere a posto tutta la filiera a cominciare dalla riforma delle Doc e assicurare sostegno ai contenuti culturali del vino». Ma c’è davvero così bisogno di dare ossigeno al settore, spalmato su 800 mila aziende di cui solo 50 hanno volumi importanti di fatturato, che occupa più di un milione di persone? A vedere i numeri pare di sì. Colpa di due vendemmie disastrose siamo precipitati ai livelli minimi di produzione, 40 milioni di ettolitri appena nel 2003 e viaggiavamo su medie di 60 milioni, abbiamo perso l’anno scorso il 16 pr cento in quantità esportata e il 3,3 per cento in valore, ma se limitassimo il dato alla sola Europa ci sarebbe da piangere perché a salvare la patria vinicola è stato il mercato Usa dove per la prima volta abbiamo superato i francesi. Un altro dato che consola è che il vino in bottiglia ha superato quello sfuso nelle vendite il che significa lavorare su di un comparto che vale 8 miliardi di euro, di cui un buon 4 viene dall’export. Ma i segnali di ripresa sono lontani e anzi ciò che preoccupa è la stagnazione del mercato interno, il principale cliente delle cantine visto che, sia pure riducendo i consumi al di sotto dei 40 litri procapite, gli italiani bevono al 98 per cento vino tricolore. La crisi c’è e pesa. Vista da Luigi Folonari, uno dei proprietari della storica casa Ruffino, «è una crisi di assestamento, dopo l’euforia che è durata dieci anni era inevitabile che ci fosse questo contraccolpo che ha in parte cause strutturali, eccesso di parcellizzazione del settore, e in parte cause congiunturali dovute all’andamento economico generale», La Ruffino tuttavia archivia un primo trimestre in crescita (fatturato 67 milioni di euro) con i vini di punta Riserva Ducale e Romitorio a tirare la volata a tutti, «grazie soprattutto al mercato canadese, americano e all’ottimo posizionamento in Italia» nota Luigi Folonari che allargando l’osservazione evidenzia: «è il tempo di smetterla di fare i vini dal prezzo esorbitante o di improvvisarsi vignaioli». Allo sgonfiamento della bolla speculativa pensa anche Piero Antinori, il leader indiscusso del vino italiano: «Io mi aspettavo un contraccolpo, come Antinori lo avevamo previsto e lo abbiamo anticipato, certo è che sui vini di alta gamma si fa fatica. Quanto al prezzo - nota Antinori - credo che questo sia un momento di grande favore per i consumatori che trovano bottiglie importanti a prezzi contenuti. Dobbiamo razionalizzare il settore, dobbiamo sfruttare questa flessione per rilanciare i consumi di vino e l’opportunità dell’allargamento dell’Europa. Ma la vera ricetta - sostiene Antinori - è puntare con decisione sui vitigni autoctoni e sui valori immateriali del vino italiano». Dello stesso avviso Marco Caprai, l’alfiere del Sagrantino. «Come azienda noi siamo in crescita grazie al nostro vitigno autoctono e al lavoro sulla qualità, ma è il tempo di essere consapevoli che fino a ieri nel mondo c’era più domanda che offerta di vino di alta gamma e questo drogava i prezzi. Oggi non è più così e i comportamenti speculativi fanno solo danno». Da MiWine si attendono le prime risposte.

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