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La Repubblica / Affari & Finanza

Al marketing piace tanto lo straniero. La nuova frontiera della distribuzione punta sulle etichette che vengono da fuori confine che hanno conquistato anche Montalcino. Dopo sudamericani e australiani, i cinesi si apprestano a sfidare il mercato ... I vini stranieri arrivano sul mercato italiano attraverso quella che dovrebbe essere una delle fortezze del made in Italy in bottiglia: Montalcino, la patria del Brunello, uno dei simboli del nostro vino. Castello Banfi, la più grande realtà produttiva del comune toscano, con 60 milioni di euro di fatturato, distribuisce già da alcuni anni insieme al Brunello e ai vini della tenuta piemontese Vigne Regali anche gli austrialiani di Stonehaven, a cui si sono aggiunti lo scorso anno i cileni di Punta Nogal e lo Champagne Joseph Perrier. Di questi giorni è poi l’accordo, sempre in esclusiva, per la distribuzione in Italia dei vini della più prestigiosa azienda vitivinicola del sud America, la cilena Concha y Toro, che esporta in oltre 100 paesi nei cinque continenti.

«Il consumatore di oggi, oltre a una sempre più profonda conoscenza dei prodotti della tradizione italiana, ama ed è incuriosito da quello che accade nel mondo vinicolo nella sua globalità», afferma Enrico Viglierchio, direttore di Castello Banfi. Spiega Viglierchio: «E’ proprio sulla comparazione, il confronto e la conoscenza di queste realtà straniere che si basa la nostra continua crescita nel comprendere l’evoluzione del consumatore. La Banfi ha sempre scelto un modello innovativo sia dal lato della produzione che da quello commerciale e di marketing. E’ nato così il progetto di distribuzione di prodotti provenienti da Francia, Cile e Australia».

In Inghilterra, Francia, Spagna e Germania i vini del Nuovo Mondo si trovano ormai dovunque accanto a quelli europei. La qualità e il marchio non bastano più. L’offensiva di Cile, Australia, Nuova Zelanda e Sudafrica ha costretto i produttori storici di vino a cercare nuove strategie di marketing, sempre più orientate verso un portafoglio globale di etichette. Presto bisognerà fare i conti con la grande offensiva che si prepara a sferrare la Cina. «In Cina si producono 4 milioni di ettolitri di vino, entro i prossimi dieci anni puntano a produrne 30-35 milioni», racconta Giuseppe Martelli, direttore Generale Assoenologi nonché presidente dell’Union Internationale des Oenologues, la Federazione mondiale delle associazioni di categoria dei tecnici vitivinicoli. Spiega Martelli: «Il consumatore cinese di vino - un mercato dalle grandi potenzialità - ha un profilo preciso, è facoltoso e veste griffe straniere: difficile pensare che sarà lui a consumare il vino prodotto in Cina. Molto probabile che la nuova produzione segua la via dell’export, come già tutti gli altri prodotti cinesi».

Vino cinese sulle tavole italiane? C’è chi, tra gli operatori è pronto a giurare che già dal prossimo ottobre prenderà via la grande offensiva enologica dei cinesi. E le strategie di comunicazione giocheranno un grosso ruolo nella capacità di ritagliarsi quote di mercato. «La gente non compra solo Fiat; così vuole provare nuovi prodotti anche nel vino. Ma non assaggerebbe mai un vino sconosciuto. Il consumatore ha bisogno di qualcuno che gli faccia conoscere i nuovi prodotti, glieli presenti con le loro proprietà, caratteristiche, anche specificità territoriali», racconta Mako Onfermann, fondatore e presidente di Wine Tip, appena tornato da un viaggio a Barossa Valley, una delle principali aree vinicole australiane, vicino Adelaide. Tedesco trapiantato in Italia, con precedenti esperienze in strategie d’impresa, ha spiegato dalla cattedra dell’Mba della Bocconi il suo progetto di creazione di una vera Borsa del vino e di un Fondo d’investimento specializzato in derivati, sviluppata sul concetto di vino inteso non solo come prodotto di consumo, ma anche come investimento.

Far conoscere i vini stranieri non significa negare l’altra grande tendenza in atto, la rivalutazione dei vitigni autoctoni. Anzi. I due trend possono correre di pari passo. Un esempio viene dall’Alto Adige, terra di grandi vini, dai bianchi Gewürztraminer e Sylvaner ai rossi Lagrein o Pinot neri, spesso difficili da trovare nelle enoteche, per non parlare dei supermercati, ma osannati da Vinum, MeinWelt, Feinschmecker e altre bibbie dell’enologia di lingua tedesca. La contiguità territoriale, la lingua, la storia, uniscono tre mercati, quello austriaco, tedesco e svizzero a quello dell’Alto Adige. E le tenute Alois Lageder, un marchio che proprio quest’anno festeggia i 150 anni di attività, ospitano in contemporanea con il Vinitaly, una presentazione di 38 etichette, tra italiane, tedesche, austriache e svizzere, tra cui molti marchi di punta finiti sulla guida di Hugh Johnson, forse la più famosa al mondo: «La globalizzazione impone a chi vuole sopravvivere di comunicare con anime gemelle, con vignaioli che hanno misure di qualità simili, obiettivi comuni», commenta Eva Ploter responsabile comunicazione della Lageder.

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