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La Repubblica / Affari & Finanza

A Illva il 33% del primo produttore cinese di vino. Con l’operazione la famiglia Reina di fatto diventa il primo azionista privato di Yantai Changyu: la società è quotata in Borsa a Shenzen, fatturerà 500 milioni di dollari entro il 2008, e sarà uno dei primi dieci produttori mondiali ... I primi due container sono già sbarcati in Cina, con 30.000 bottiglie con le retroetichette in cinese ma i marchi Corvo di Salaparuta e Grecale Florio in italiano. Il via alle vendite è il segnale dell’avvenuto accordo in base al quale Illva Saronno, proprietaria dei due storici marchi siciliani, con 49 milioni di euro s’è aggiudicata il 33% della più grande azienda cinese di vini: la Yantai Changyu Group Co. Ltd. La trattativa è durata circa un anno e mezzo. Ora il gruppo lombardo, posseduto al 100% dalla famiglia Reina, può ben dire di aver sbaragliato concorrenti come la francese Remy Cointreau che già ha una jointventure con Dinasty, altro big del vino cinese.
La prima etichetta a partire dall’Italia verso la Cina, a metà del 2005, è stato l’Amaretto, ma adesso è il momento del vino. In totale tra i marchi Disaronno, Tatea, Corvo e, a breve anche Duca di Salaparuta, il piano di marketing, rifinito venerdì scorso, prevede la vendita iniziale di 1.500.000 bottiglie. Destinate a far salire il fatturato del gruppo, che ha un giro d’affari di 230 milioni di euro, in crescita del 5% rispetto all’anno scorso, e utili stimati superiori ai 6 milioni realizzati nel 2004.
Il target sono i 300 milioni di benestanti cinesi che, su una popolazione totale di oltre un miliardo e mezzo di persone, sono considerati i potenziali clienti. I consumi di vino sono attualmente pari a 0,3 litri pro capite all’anno, ma l’ufficio statale di statistica della Cina stima consumi in forte crescita, con volumi per 800 mila tonnellate attesi nel 2010, rispetto alle 340 mila tonnellate del 2003.
In questo settore, del vino e degli alcolici, in fase di forte concentrazione, dove molti marchi di famiglia, anche i più prestigiosi della Francia — come Hennessy o Krug — hanno dovuto vendere ai big mondiali del lusso, Augusto Reina, amministratore delegato di Illva, ha messo a segno il più importante investimento di un’azienda italiana in Cina nel settore alimentare. Changyu Group è stato il primo produttore di vino cinese ad approdare al listino, nel 1997, alla Borsa di Shenzen e figura nell’indice mondiale del vino di Mediobanca — dove non ci sono invece italiani — insieme all’altro big cinese, Dinasty, jointventure tra azionisti locali e la francese Remy Cointreau.
Chateau Changyu Castel, questo il nome all’ingresso dello chateau, la tenuta con cantina del gruppo che vanta più di 100 anni di storia e si trova a Yantai, nella penisola dello Shandong, nella Cina orientale, zona particolarmente vocata, tra le prime in cui si sono moltiplicati i produttori di vino. Il gruppo francese Castel, tra i più grandi del mondo, ha una jointventure con due cantine di produzione, due chateau della capogruppo Changyu. Che ora ha venduto una parte delle azioni alla Illva, primo passo verso la privatizzazione, visto che la holding era posseduta al 53,8% dallo Stato (il secondo azionista ha 0,68%), intenzionato a cedere il controllo.
Ci sono anche le pupitre, i cavalletti per le bottiglie di champagne, nei 2700 metri quadri della cantina, tra barrique e tavoli per la degustazione. Anche qui, come in Francia, un gruppo di operai esegue il rito artigianale giornaliero della rotazione delle bottiglie per far entrare in contatto le fecce, liberate dai lieviti, con tutto il vino: bollicine prodotte con il metodo champenoise, della rifermentazione in bottiglia. In Cina non te lo aspetti, ma Changyu è tra quelli che hanno investito di più per crescere e consolidarsi nella produzione. Tanto da aver ampliato il business dal vino al cognac ai liquori, fino alla produzione di bicchieri in cristallo, di macchinari, al packaging e alla distribuzione, con società dedicate. E non mancano vini studiati per far bene alla salute, insieme a erbe cinesi, secondo l’antica tradizione.
Oggi un museo, non lontano dallo chateau, racconta tutta la storia del vino in Cina attraverso le vicende del gruppo che ha vinto diversi premi internazionali. Riesling, Cabernet, Chardonnay, Sauvignon: c’è un sole terribile ad agosto tra i filari delle tenute del gruppo, che sono immense. D’inverno, invece, fa molto freddo, e le viti vengono coperte con la terra. Vino prodotto per il mercato interno, certo, ma non solo. In Cina molti viticoltori stanno organizzando l’approdo in Europa. Alcuni, come Grace Vineyard, già vendono in alcuni paesi, ma non in Italia. Incontrati questa estate a Yantai, i vertici di Changyu hanno rivelato l’intenzione di arrivare ad esportare anche nel nostro paese. «Un mercato difficile, per l’alta qualità e varietà del prodotto italiano. Non è facile conquistare il palato degli italiani. Stimo che ci vorranno almeno ottodieci anni per riuscire a esportare anche da voi», ha raccontato Sun Liqiang, chairman del gruppo. Un colosso che stima di arrivare a vendere vino per circa 500 milioni di dollari entro il 2008. Diventando uno dei dieci più grandi produttori del mondo.

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