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La Repubblica / Affari & Finanza

Un impero di nicchia fatto tutto di tappi. La Guala Closures di Alessandria, quotata allo Star, ha appena aperto uno stabilimento in Nuova Zelanda, l’ultimo dopo la scalata al mercato internazionale, controllato al 58% con sedi in 12 paesi e 248 milioni di euro di fatturato ... «E’ venuto il primo ministro in persona, Helen Clark, a inaugurare lo stabilimento che abbiamo appena impiantato a Auckland, in Nuova Zelanda. Sono rimasto di stucco: è uno stabilimento con 50 dipendenti per un investimento di 3,5 milioni di euro, non elevato, ma è la prova di quanto sia importante per loro il settore vitivinicolo». Marco Giovannini, presidente nonché azionista della Guala Closures, tra le prime aziende al mondo nel settore della produzione di tappi, è da poco tornato dalla Nuova Zelanda ma già si accinge a ripartire per l’Australia. Un globetrotter, inevitabilmente: con 21 stabilimenti e circa 1.850 dipendenti sparsi in 12 paesi, dalla piccola Alessandria, dove ha la sede principale, il gruppo è arrivato a scalare il 58% del mercato globale, un mercato «di nicchia», come ripete sempre Giovannini, ma che vale 248 milioni di euro di fatturato e una quotazione in Borsa, al segmento Star.
Quanta tecnologia ci può essere dietro a un tappo di bottiglia. Lo stabilimento di Alessandria, uno dei quattro in Italia, è un gioiello hitech che arriva a lavorare su tre turni e 7 giorni su 7 per alcune linee, come quella dedicata al Chivas. Non ci si ferma mai. Tante, piccole, componenti, che vanno fabbricate, provate, incapsulate: dalla banda tamper, che segnala se il tappo è aperto molto usata per la vodka, tra i prodotti più soggetti a falsificazione alla marchiatura laser, dall’ologramma incorporato nello stampo all’immissione di materiale bicolore, dall’inchiostro di sicurezza rilevabile, agli ologrammi stampati a caldo, dalle valvole non riempibili ai pallini di plastica, dai pallini di vetro alla fascia tear off, la più sofisticata.
La linea safety, una delle tre della divisione chiusure, ha una struttura complessa che prevede fino a 13 componenti. «Le falsificazioni nel settore delle bevande, acqua compresa, hanno un tasso di crescita del 5% l’anno», racconta Giovannini, mentre al ristorante tira un sospiro di sollievo all’arrivo dell’acqua minerale in tavola: «E’ un nostro cliente, ha i nostri tappi, vado tranquillo», commenta. Ci vogliono da 4 a 7 mesi per creare un nuovo modello di chiusura, mentre per l’industrializzazione e la messa in produzione la media è di 1218 mesi. Sono finora cinquantacinque i brevetti depositati dal gruppo, un tempo della famiglia Guala, oggi, dopo un’operazione di private equity, controllato al 16,5% dal management e per il resto sul mercato, tranne una piccola quota di Banca Intesa. Il punto di forza è l’attività di sviluppo e ricerca.
L’Italia perde grandi asset industriali competitività, ma intanto esistono realtà minori altamente innovative e concorrenziali a livello internazionale. Il centro di ricerca e sviluppo di Alessandria ha venti dipendenti, tra ingegneri, disegnatori di prodotti e stampi (altro fattore competitivo) project e product manager. Non solo tecnologia, ma anche design. Nella società dove "l’apparenza impera", Guala Closures ha sviluppato una serie di tecniche di decorazione utilizzando materiali innovativi e software all’avanguardia, lavorando in partnership con università e centri di ricerca, come il Proplast del Politecnico di Torino. Per i liquori, per esempio, va di moda il grigio satinato. Mentre le linee si fanno più giovanili, allungate. il Wak, sintetico ma che ricorda la chiusura di sughero, è di gran moda. Discorso che vale per tutti i prodotti, dal Cynar al Campari, tanto per citare alcuni dei clienti della Guala che fornisce anche industria farmaceutica e chimica. Tre premi mondiali per il Wak, tappo sintetico per il vino, ma che ricorda la chiusura di sughero.
Niente a che vedere con lo spartano tappo di silicone. Due anni fa, con l’apertura di una nuova società e l’acquisizione di GlobalCap, la diversificazione in una terza divisione produttiva, quella dei tappi in alluminio (la seconda divisione è il Pet, che produce bottiglie fornite anche alla Coca Cola, ma più marginale per quote di fatturato). Due stabilimenti in Italia, e poi in Cina e Russia. Ora l’approdo In Nuova Zelanda, ultima tappa della espansione verso l’Oriente e l’Oceania, mercati in forte crescita, soprattutto nel settore vitivinicolo. E dove il tappo a vite, oppure Da noi comincia a prendere piede. Lo scorso anno, tra i tre vini Oscar dell’Ais è arrivato il St Claire Waimu Reserve, un sauvignon di classe, rigorosamente col tappo a vite. Al MiWine di Milano lo stand dell’Australia esponeva solo vini col tappo a vite.
«La resistenza psicologica ad abbandonare il sughero è ancora forte, ma sui bianchi si comincia a vedere qualche apertura anche in Europa», racconta Giovannini che però non può assolutamente fare nomi. Qualcuno aveva fatto girare la voce che si trattasse di Romanée Conti, ma Giovannini smentisce. Certo è tra la Borgogna e il Barbaresco, circola la voce che alcune star della viticoltura stanno sperimentando nuove chiusure. Rigorosamente sui bianchi. Sui rossi, non resta che attendere. Forse neanche tanto. In Alto Adige, due cantine storiche si fronteggiano: quella di Caldaro, con un bianco, lo Charmy, Pinot Bianco e Chardonnay con tappo a vite, per una bottiglia pratica, pensata per le discoteche. Quella di Termeno, con un Pinot Nero, col tappo di vetro e gommino. Non è della Guala. Anche nei tappi la concorrenza impazza.

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