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La Repubblica / Affari&finanza

Eataly, centro commerciale che unisce vendita e cultura ... Un modello originale dove i prodotti dell'Italian Food non si comprano solo ma si consumano e si studiano... Il più innovativo - e il più attuale dei luoghi di vendita nel nostro Paese? Il più suggestivo paradigma a cui ispirarsi per la costruzione di nuovi spazi commerciali anche in altre merceologie? Non ho alcun dubbio: Eataly da poco inaugurato in una città, Torino, che non cessa di stupire per l’intelligenza strategica e la qualità degli interventi che ha saputo realizzare in pochi anni. Parlare di luoghi di vendita o a spazi commerciali è certamente riduttivo. Un centro, Eataly, dove vendita, ristorazione, entertainment, didattica, cultura, comunicazione creano uno spazio suggestivo e di grande spessore culturale. Dove, come recita una scritta, "comprare, mangiare, studiare cibi e bevande di alta qualità". Un luogo vitale e di vita che riesce ad intercettare molti dei trend che più esprimono il nuovo nei consumi.
Mentre in tutta Italia sorgono, ormai come funghi, "non luoghi"(Marc Augé) le cattedrali del consumo che riproducono con scarsa fantasia formule analoghe create in altri Paesi, segnatamente in Francia e negli Stati Uniti - Eataly si caratterizza invece come "luogo", originale e innovativo. Cos’è Eataly? Un grande spazio - suddiviso in tanti luoghi per cui le grandi dimensioni finiscono per stemperarsi - dove sono coprotagonisti il meglio della produzione agricola e della gastronomia italiana ed anche il visitatore.
Assenti - ma non c’è nulla di ideologico nell’esclusione - le grandi marche globalizzate. Presenti, invece, molti esponenti di quei giacimenti gastronomici che il nostro Paese ha disseminato, con grande abbondanza e varietà, su tutto il territorio. Che, se valorizzati, potrebbero trasformarsi davvero nei nostri giacimenti petroliferi. Una importante fonte di ricchezza, un reale asset per il sistema Paese, una rendita di posizione - se strategicamente gestita difficilmente attaccabile. Eataly diviene quindi anche, di fatto, significativa vetrina del best in Italy. L’insediamento recupera un brano di archeologia industriale - l’ex opificio Carpano - e ricorda vagamente, come struttura edilizia ed espositiva, i grandi loft food store a Manhattan (Dean De Luca) e a San Francisco.
In genere l’eccellenza alimentare, in tutte le città italiane e nel mondo, si coniuga con prezzi inaccessibili per la gran parte dei consumatori. Da Fauchon a Parigi come da Peck a Milano. Qua il livello dei prezzi è contenuto: sia per la vendita al dettaglio che per la ristorazione. A Eataly si compera - per usare lo stesso idioma dell’insegna l’italian food nelle sue espressioni più autentiche, scandite per aree tematiche (la pasta, i formaggi, il vino ecc.).
All’interno di ciascuna di queste, vi è un luogo di ristoro dove si possono consumare gli stessi alimenti in vendita con una ricettazione che riproduce (decentemente) i grandi piatti della gastronomia italiana. Qua viene impartita una lezione di civiltà anche ai grandi ristoratori italiani: la possibilità di scegliere tra qualche decina di vini al bicchiere.
Il visitatore inventa propri percorsi attraverso queste isole: non esistono itinerari da seguire nè nessuna sollecitazione al fast. Percorsi interni in cui girovagare protetti da una copertura vetrata con un reticolo di vie, vicoli, piazze: a metà strada tra il Paese di Bengodi e quello delle Meraviglie.
Un viaggio accompagnato da testi illustrativi intelligenti, sovente con un pizzico di ironia, per comprendere la storia e la filiera dei prodotti e per destreggiarsi in una offerta tanto ricca. Senza l’ausilio di marche a tutti note.
Il risultato è anche di un seduttivo edutainment (education + entertainment). Spazi espositivi e per la ristorazione, ma anche per la degustazione, assaggi, corsi di cucina, somellier, eventi enogastronomici.
In un’epoca in cui la centralità dell’esperienza qualifica il punto vendita così come il suo divenire luogo di incontro, Eataly interpreta con efficacia entrambe le tendenze. Realizzando una piattaforma relazionale dove produttori medio piccoli, ma di eccellenza, destinati altrimenti alla marginalità, instaurano relazioni con un vasto pubblico. Inutile dire (c’era infatti da chiederselo?) che, anche se non compare fra gli azionisti, Slow Food è ben presente con i suoi presidi. Anzi si respira ovunque la sua filosofia ecogastronomica e si intuisce Carlo Petrini (forse non è così ma ho avuto questa impressione) alla cabina di regia.

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