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La Repubblica / Affari&finanza

Ora la new economy si misura con il prodotto interno di qualità … Il 44,3% del Pil è costituito da aziende innovative e competitive: io rileva il Piq, nuovo indicatore presentato da Symbola e capace di calcolare scientificamente la ricchezza dei valori ambientali, sociali e del fattore umano… Il 44,3% del prodotto interno lordò è Piq, prodotto interno di qualità.
La metà della ricchezza del nostro paese si deve a prodotti di pregio e di alto profilo. Non è una valutazione a spanne, la proiezione di paramenti ideali che misurano beni intangibili. li Piq è nuovo indicatore messo a punto da Symbola, la Fondazione per le qualità italiane guidata da Ermete Rea- lacci: uno strumento di misura scientifica, attraverso la valutazione e l’incrocio di diverse variabili, quali l’innovazione, la ricerca, la creatività e i saperi territoriali, tutti distintivi della soli economy, economia cosiddetta leggera, basata su una serie di parametri che la società moderna considera indispensabili: il rispetto dell’ambiente, l’approccio eticamente compatibile, l’esaltazione dei patrimoni locali, la valorizzazione del patrimonio di conoscenza e competenza delle risorse umane. La vera new economy, voce sotto la quale si ritrovano aziende hi-tech, come Technogym e vitivinicole, come Arnaldo Caprai e Donnafugata, alberghi diffusi, come Santo Stefano di Sessanio, L’Aquila, a quelle di riscaldamento e condizionamento.
Ci sono voluti anni per affermare come capisaldi delle organizzazioni moderne il rispetto dell’ambiente e della compagine sociale e intellettuale. Ora, finalmente, questi valori un tempo considerati a livello puramente teorico, compongono un paniere. Uno strumento quantitativo a tutti gli effetti, calcolabile in termini monetari e per questo comparabile con gli aggrègati settoriali e di spesa pubblica. Non a caso nel team di lavoro che ha dato vita a questo indicatore figurano Domenico Siniscalco, già direttore generale e poi ministro del Tesoro, oggi vice chairman di Morgan Stanley International, che è diventato il responsabile scientifico del Piq. C’è poi Alessandro Profumo, amministratore delegato di UniCredit, che è anche il presidente del Forum Symbola. E un gruppo di docenti e manager di tutta Italia. Tutti insieme hanno passato al setaccio l’Italia, presentando sabato scorso a Milano, un quadro inedito delle tendenze in atto.
La prima, più evidente, è una polarizzazione del mercato: chi sceglie la qualità lo fa definitivamente, punta su questa come leva competitiva fino a raggiungere l’eccellenza: il 26% del Pil attribuibile all’area dell’eccellenza rappresenta oggi il 60% del Piq. Al lato opposto le altre organizzazioni, radicate in un’area di non qualità assoluta. Ci sono, ovviamente, settori più dinamici e aree ancora poco toccate dai rivolgimenti in atto. Il mondo del vino, per esempio, dopo lo scandalo del metanolo, ha messo in moto un processo di riposizionamento radicale che ha toccato tutta la catena del valore, dalla ricerca alla produzione, dalle strategie di marketing alla distribuzione. Il risultato si legge nei numeri delle vendite e dell’export, che vedono le nostre etichette con una significativa presenza nelle fasce medio alte di mercato.
Non è accaduta la stessa cosa con l’olio: il prodotto italiano, - potenzialmente di qualità eccelsa, sottolineano le analisi di Symbola, è del tutto assente nei segmenti più elevati del mercato mondiale, mentre occupa posizioni di rilievo nei segmenti medio-bassi. Uscendo dal settore alimentare, viene meno un luogo comune che vuole l’Italia eccellere solo nell’area dei fattori immateriali, non sostenuta da livelli tecnologici avanzati. Non è cosi. Il Piq registra avanzamenti significativi anche nell’area delle tecnologie: la meccanica tra il 2000 e il 2005 ha guadagnato posizioni nelle esportazioni, nei motori diesel siamo passati dal dodicesimo al decinio posto nel ranking mondiale dei paesi esportatori e dal quarto al secondo nelle macchine a controllo numerico.
La qualità avanza. Si stima che il Piq abbia acquisito dai 2 ai 3 punti di “quota Pil” per anno. Una dinamica accelerata, anche se non ancora espressa pienamente nell’immagine che il nostro paese ha a livello mondiale. Conosciamo poco i mercati, non siamo in grado di presidiarli efficacemente con le reti distributive, non siamo in grado di supportarle a livello di logistica. Il caso Alitalia e Fs, sottolinea Symbola, è emblematico. Ci manca, per dirla con gli esperti, di fare il grande salto, quello sul piano della marketing intelligence, la capacità cioè di vendere il brand Made in Italy a tutti i livelli.
Ancora forte è la differenza sostanziale tra i prodotti di punta e quelli di coda, che si fa sentire in particolar modo nel settore della moda e del design, che include tessile e abbigliamento ma anche legno e mobili. Proprio quelli tipici del made in Italy, ma che sotto la lente del Piq si posizionano in coda alla classifica, con una percentuale del Pil, 42,3%, al di sotto della media. In cima, invece, con una percentuale del 49,7% del Pil, figura il commercio, seguito dall’agricoltura. La più old della old economy è proprio quella che sta manifestando il maggior dinamismo in termini di rispetto dell’ambiente, della compagine sociale, delle risorse umane, di integrazione della filiera produttiva.
Considerata, questa, il perno della nuova economia misurata sulla base della qualità. Le organizzazioni competitive, oggi, prevedono un forte livello di integrazione tra strutture specializzate in attività lungo la catena del valore: dalla ricerca di base a quella applicata, dallo sviluppo dalla gamma dei prodotti alla gestione delle linee di produzione innovative anche nella sub-fornitura e nei livelli di cooperazione, dal marketing alla logistica e distribuzione. Uno dei limiti della metodologia di calcolo del Pil è proprio il fatto che è ancorata a un modello descrittivo puramente settoriale, che trascura completamente la filiera produttiva. Mentre la riorganizzazione della filiera è un luogo di innovazione: crea nuovi profili di impresa, che il Pil non riesce a catturare.
Non è un caso che proprio le aziende della moda e design, considerati il fiore all’occhiello della nostra economia, sono i più colpiti dalla concorrenza straniera a basso costo. In coda alla classifica del Piq, stanno ora correndo ai ripari, proprio con processi di riconfigurazione e rilocalizzazione. Al terzo posto, dopo l’agricoltura, ci sono industria-metalmeccanico, servizi alle imprese, servizi pubblici e poi alberghi (42,9%). Ultimo nella classifica è il settore delle costruzioni, dove pure si assiste a processi innovativi innescati dalla corsa alle bioedilizie, al recupero delle aree e immobili dismessi.

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