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La Repubblica / Affari&finanza

Il vino ha trovato la qualità ma non sa giocare le sue carte ... Il passato, con il commercio dei mosti e la vendita all’ingrosso, segna ancora il prodotto ma presente e futuro promettono bene. Il vero problema riguarda la disarmante incapacità di promozione: manca del tutto una seria strategia di marketing. Il pane invece è famoso sin dai tempi di Orazio... La Puglia del pane e del vino è scritta già nelle sue cifre: 200 grammi di pane al giorno consumato nella regione (si tratta del dato più alto in Italia: la media nazionale è di 150) e un patrimonio vitivinicolo di oltre 84mila ettari che è secondo soltanto alla Sicilia. Poi ci sono le storie. Come quella del fornaio di Altamura - la città della Murgia famosa per il suo pane, il primo in Europa a fregiarsi della denominazione di origine protetta (dop) - che apre bottega a due passi da McDonald’s, nella piazza centrale della città, e costringe il colosso dell’hamburger a battere in ritirata: una vicenda che il regista barese Nico Cirasola è pronto a raccontare in un film che sta girando fra Puglia e Stati Uniti.
O come la storia di vini che un tempo servivano per tagliare i mosti prodotti altrove, più deboli e a minore gradazione alcolica, e che negli ultimi anni hanno cominciato a crescere. Con gli inevitabili vizi di gioventù: i prodotti d’eccellenza vanno cercati lontano da questa terra, che il vino lo produce da millenni ma “secondo una logica che è stata permeata solo in tempi recenti, e peraltro parzialmente, da criteri di qualità”. Il giudizio è della guida dell’Espresso “I vini d’Italia 2007” (a cura di Enzo Vizzari, Ernesto Gentili e Fabio Rizzari). Che non boccia comunque i vini pugliesi: tutto sta a non volare alto quando si tratta di scegliere fra queste bottiglie, accettando invece i compromessi legati “alle dinamiche concrete e alle contraddizioni inevitabilmente connesse a questa delicata fase di crescita”.
Il problema non è nuovo. Si tratta di fare i conti con realtà del passato che segnano ancora pesantemente i marchi pugliesi: il commercio internazionale di mosti concentrati, innanzitutto, ma anche la vendita in cisterna e l’elevato consumo di prodotto sfuso. Ecco così che se da un lato “potrebbe farsi strada qualche delusione nel trovare poche etichette all’appuntamento con l’eccellenza”, dall’ altro va accolta con favore “l’affermazione di quei vini (e non sono pochi) che si accollano il compito di ridurre il divario fra alto e basso e di avvicinare le varietà autoctone, fino a ieri prigioniere di un giudizio di poca eleganza, l pubblico degli appassionati”. È una Puglia, insomma, che pur senza raggiungere l’eccellenza è in grado di abbinare in maniera accettabile qualità e prezzo.
La crescita dei vini pugliesi riguarda sia la parte centro-settentrionale della regione (“con le Murge e la zona doc Castel del Monte a fare da punto di riferimento”) sia il Salento (“con la riscoperta dei vini da uve Primitivo e Negramaro”).
“Mai come oggi, forse, è possibile trovare qui rossi che coniugano le esigenze di tipicità con la piacevolezza della beva, proposti a prezzi concorrenziali e di facile reperibilità”. Quanto alle aziende, sei hanno ottenuto una stella dalla guida (il massimo è tre ed è stato raggiunto soltanto da 13 marchi in tutta Italia): Francesco Candido (San Donaci), i cui vini “richiedono una lettura attenta per non essere sbrigativamente rubricati come troppo evoluti”; Leone De Castris (Salice Salento il cui primo nucleo produttivo risale addirittura alla metà del Seicento); Rivera (Andria, “all‘avanguardia in Puglia per tecniche agronomiche, che interessano circa 80 ettari di superficie vitata, ed enologiche”); Rosa del Golfo-Calò (Alezio, “i suoi Portulano2004 e Quarantale 2003 sfoggiano una grinta e una pienezza gustativa veramente notevoli”); Cosimo Taurino (Sandonaci, “fa parte del ristretto numero di aziende che hanno fatto la storia del vino in Puglia”) e Tormaresca-Vigneti del Sud (Bari, “nel giro di poche vendemmie ha saputo imporsi nell’affollato panorama vitivinicolo regionale grazie a vini ineccepibili sul piano tecnico”).
Un altro discorso riguarda la disarmante incapacità di promuovere questo patrimonio enologico, inteso come made in Puglia, attraverso una seria e razionale strategia di marketing. L’economista Franco Lella cita la modesta percentuale di vendite nella grande distribuzione organizzata e la lentezza nei processi di internazionalizzazione necessari a farsi conoscere sui nuovi mercati orientali: “Oggi la Puglia conta 25 vini a denominazione di origine controllata (doc) con 128 preparazioni diverse. Il riconoscimento delle indicazioni geografiche tipiche Daunia, Murgia, Salento, Tarantino e Valle d’Itria dimostra l’importanza del settore nella regione. Un vero colosso enologico, con una media di 11 milioni di ettolitri divino, che non può continuare a nutrirsi solo di elogi che arrivano puntualmente anche dal Vinitaly di Verona. Le carte ancora da giocare, soprattutto sui mercati dell’export oltre i principali Paesi europei, sono davvero tante. Ma molti segnali sembrino restare isolati”.
Il problema era già stato sollevato dall’enologo Angelo Solci (proprietario di una delle più note enoteche milanesi): “All’ industria vinicola di questa regione manca soprattutto la mentalità. Intesa come vivacità, voglia di crescere, capacità di investire su una materia prima che invece è assolutamente competitiva”. Da queste parti, d’altronde, d’estate si organizzano più feste della birra che degustazioni di vini. “La Puglia è incapace di fare sistema. Questo vale sia per i produttori, che spesso si perdono in inutili beghe di bottega, sia per chi dovrebbe coordinare il loro lavoro. Il marketing, la promozione, le strategie aziendali non sono concetti vuoti. E in questo i pugliesi sono ancora lontanissimi dalle aziende del Nord”...

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