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La Repubblica / Affari&finanza

Soave, il modello NordEst vince anche in cantina ... Per la cooperativa veronese tutti gli indicatori sono in crescita, soprattutto quelli della redditività, che l’ultimo rapporto di Mediobanca indica come uno dei principali fattori dei debolezza del vino made in Italy. Le vendite sono salite del 27%. L’export ha superato il 50%. L’arrivo delle tecnologie... Le vendite sono cresciute del 27%, gli utili del 5%; la liquidazione ai soci di ben il 24%, i marchi in uscita del 6%, e l’export ha superato il 50%, Un altro anno record per Cantina di Soave. Dal fatturato agli investimenti, nei diagrammi del bilancio, presentato la scorsa settimana, l’andamento è sempre in crescita. Un business tra vigneti, cipressi, ulivi e colline. Sembra di essere in Toscana, invece è Veneto, la zona del Soave e della Valpolicella. Una terra che si immagina fredda. Nel clima e nell’attività. Siamo nel NordEst, l’area ricca d’Italia, zona di fabbriche ad elevata produttività. Ma nel cuore operoso del NordEst c’è chi ha messo la capacità di industriarsi, di fare business, al servizio della terra, dell’agricoltura. Sono i 1.500 soci della Cantina del Soave che hanno messo insieme le loro forze per creare una realtà produttiva capace di competere sui mercati esteri, senza per questo stravolgere la loro identità profondamente radicata sul territorio. Cooperativa di piccoli produttori che unite le vigne e le idee, sono arrivati a realizzare un giro d’affari di circa 70 milioni di euro. La metà prende la via dei mercati tedesco, inglese, danese, come dire i “palati” migliori del mondo. Minore, ma in crescita, la quota che va agli altri paesi stranieri, dalla Svizzera al Giappone.
Visione globale, qualità contadina. Un binomio che ha fatto diventare la Cantina di Soave, guidata da Luigi Pasetto, presidente, e Bruno Trentini, direttore generale, un caso di successo degno delle business school. Lo racconta “La Cantina si fa impresa”, di Silvia Cantele, che non a caso insegna all’Università di Verona “Pianificazione e controllo nelle Pmi”. I numeri spuntano tra bellissimi paesaggi, a ribadire che l’eccellenza del made in Italy si può esprimere anche nelle attività più tradizionali, nell’agricoltura che oggi gli analisti, passato il primo boom della new economy, hanno ricominciato a guardare con interesse.
Borgo Rocca Sveva, con un’antica cantina piena di barrique, le piccole botti, che non ha nulla da invidiare agli chateaux francesi. Illasi, l’ultima arrivata, dove tra ciliegi, albicocche e cereali cresce il Valpolicella. Con la fusione della cantina di Cazzano di Tramigna, nel 1997, il salto nell’alta tecnologia, con un impianto ultramoderno, che oggi fa salire a cinque gli stabilimenti di produzione dove si vinifica, imbottiglia e si fa stoccaggio. Vere e proprie linee di produzione, dove l’hitech convive con la manualità, le linee di imbottigliamento e i fusti di acciaio con gli operai che ruotano di pochi centimetri al giorno le bottiglie sulle pupitre, i cavalletti inventati dai francesi per la produzione dello champagne, e adottati anche in Italia per le bollicine più nobili.
Un unico vigneto di 4.200 ettari e 30 milioni di bottiglie all’anno, tante, per molti esperti amanti delle etichette di nicchia forse troppe. Ma il mercato si fa sempre più competitivo. A Bruxelles si litiga tra i paesi membri persino per quello che bisogna scrivere sulle etichette. L’Europa, Italia in prima fila, è tornata in cima alle classifiche delle vendite nei paesi esteri, Usa in testa. Ma i paesi produttori emergenti stanno preparando la controffensiva. L’Australia, per esempio, ha deciso di adottare un’unica indicazione geografica, the Greater Australian Geographic Indication, per fare forza sui mercati esteri come un unico sistema. Ci vogliono dunque soldi per investire, innovare, inventare nuove etichette e stare dietro alle moderne strategie di marketing.
Tutti uniti, dunque. Ma senza perdere l’identità. Ogni angolo, ogni appezzamento della Cantina di Soave ha la sua specificità che viene valorizzata, esaltata, attraverso le differenti linee di prodotto che, come nella moda, consentono di avere un portafoglio diversificato di etichette.
Dalla fascia base, per la grande distribuzione, alle bottiglie più celebrate, per la ristorazione e le enoteche. I prodotti a marchio sono cresciuti negli ultimi sei anni del 150%, con punte del 350% proprio nel settore delle bollicine. Diversificazione del portafoglio e innovazione di prodotto, verso fasce sempre più alte di mercato: s’è mostrata questa la linea vincente, che nei primi anni del 2000 ha segnato la grande svolta della cantina, una cooperativa di primo livello, che s’è messa a ragionare come una multinazionale. Una strategia che premia. “Come per lo scorso esercizio finanziario, la strategia di valorizzare le produzioni a marchio dell’azienda continua a rivelarsi vincente sul mercato: le linee di vini firmate da Cantina di Soave hanno registrato un +6%, attestandosi poco sotto i 20 milioni di euro. Le cooperative, insieme alle società a controllo estero, sono quelle che secondo l’ultimo report di Mediobanca sul settore vinicolo, hanno una minore redditività (roe) perché mancano di buona parte delle fasi produttive a monte della filiera; sono infatti i soci i produttori delle uve e del vino che conferiscono poi alla cooperativa per la lavorazione e la vendita. Un limite che le cooperative più illuminate stanno superando. Il controllo della filiera è oggi garantito dallo stile di produzione, che vede la task force di agronomi ed enologi schierata su tutto il territorio, per garantire lo stesso stile, uno standard minimo comune. Con economie di scala anche nel campo della ricerca e sviluppo, con laboratori e strumenti sofisticati a disposizione del più piccolo socio.
I risultati sono scritti nei bilanci. Se fosse un’impresa qualunque l’utile sarebbe salito. Ma parliamo di una cooperativa. Sono altri gli indici da valutare. “La liquidazione delle uve ha toccato un nuovo record storico”, spiega Bruno Trentini, direttore generale della Cantina. Racconta Trentini: “I soci hanno ricevuto 32.474.300 euro, pari ad un +24% rispetto all’anno precedente, con un prezzo medio delle uve al quintale di 50,88 euro +5,4% rispetto al 2005”. In parole povere: aumenta la redditività del network.

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