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La Repubblica / Affari&finanza

Il Ferrari è la locomotiva del distretto delle bollicine ... Le vendite in Russia sono raddoppiate. E l’obiettivo è raddoppiare il fatturato globale nel giro di cinque anni, aumentando la quota di export complessivo. “Il nostro paese finora ha assorbito quasi tutta la produzione e così non c’è stato bisogno di guardare troppo oltre frontiera. Ma oggi è fondamentale diventare un brand di livello internazionale, acquisire un’identità forte”, racconta Matteo Lunelli, amministratore delegato delle Cantine Ferrari di Trento. Il gruppo ha messo a punto un agguerrito piano di marketing per far salire le quote di spumante vendute all’estero. L’inaugurazione del ‘flagship store’, il negozio bandiera di Valentino a Ghinza, la via Montenapoleone di Tokyo, è avvenuta con il Ferrari. Ferrari alle serate dell’Oscar. Azienda e prodotti si chiamano sempre Ferrari, dal nome di Giulio Ferrari, l’enologo che dopo aver studiato in Francia ha importato il metodo francese, inventando le bollicine made in Italy. Ma dietro il successo di questa cantina storica c’è una famiglia, i Lunelli appunto, giunti con Matteo, con la cugina Camilla che si occupa della comunicazione e con l’altro cugino Marcello, direttore tecnico, alla terza generazione.
Bruno, il nonno, commerciante di vini, indebitandosi fino al collo aveva acquistato nel 1952 la cantina fondata 50 anni prima da Giulio Ferrari: 30 milioni per un coriandolo di vigna e 10 mila bottiglie l’anno. Oggi di bottiglie ne escono 4,5 milioni e la Riserva del Fondatore, etichetta di punta, è uno degli spumanti al top, tra i più dotati per fare la concorrenza agli champagne francesi. A partire dagli Usa, sbocco per eccellenza dello spumante metodo classico.
Un mercato dove le nostre etichette si stanno affermando con sempre maggiore forza: secondo i dati di Italian Wine & Food Institute le importazioni in Usa dei nostri spumanti sono aumentate anche questo anno: da gennaio a settembre del 12,6%. Certo, in termini assoluti il giro d’affari realizzato oltreoceano è diventato un quinto di quello francese, ma più del doppio degli spagnoli, che pure sono riusciti a farsi apprezzare all’estero meglio e prima di noi.
Nel 1902 Giulio Ferrari aveva portato dalla Francia le prime barbatelle di Chardonnay. Oggi si contano 25 produttori sparsi in 58 comuni, con una produzione totale di 7 milioni e mezzo di bottiglie, per il 97% concentrato in quattro principali case. Dai più noti alle griffe di nicchia. Tutti insieme hanno dato vita al Trento Doc, un vero e proprio brand di territorio, prima denominazione di origine controllata degli spumanti metodo classico riconosciuta in Italia e seconda al mondo dopo la Champagne. Il Trentino da solo copre oltre il 35% della produzione nazionale di bottiglie di spumante, dicono le rilevazioni del Forum degli spumanti d’Italia, grazie a un territorio particolarmente vocato, ma anche all’abilità di viticoltori capaci di coniugare la ricerca della qualità con il fiuto per il business. E le Cantine Ferrari sono state tra le prime case history dell’enologia italiana, emblema di come un’azienda possa trainare l’economia di un intero territorio. Non a caso il vitigno più utilizzato da questo marchio è lo Chardonnay, l’uva più coltivata nel Trentino, appena il 2% il Pinot nero e Pinot Bianco, a differenza dei francesi che per lo champagne utilizzano, di norma, i tre vitigni uniti.
Ora, la sfida è: “Fare squadra per diventare un marchio internazionale, presente sulle tavole di tutto il mondo”, racconta Matteo Lunelli. Non per vendere solo bottiglie, ma un territorio: pieno di vigne, protette dal clima alpino e coccolate dalle miti temperature del lago di Garda. Come Reims per lo champagne, Bordeaux per i grandi rossi di Francia, Montalcino per il Brunello, la Trento Doc vuole diventare un simbolo che identifica etichette e terra di appartenenza, il più grande vigneto di Chardonnay d’Italia.
Radici affondate nel territorio, ma sguardo puntato lontano. Una filosofia che ha dato i suoi frutti. Si brinda Ferrari al Quirinale quando arrivano ospiti, nelle ambasciate italiane nel mondo, durante gli eventi e gli incontri internazionali. Le bollicine, che ormai si bevono sempre e non solo durante le feste ma anche a tutto pasto, sono la punta di diamante, ma con un portafoglio diversificato di prodotti, grazie a due acquisizioni in Umbria (la tenuta Castelbuono) e in Toscana (la tenuta Podernovo). Più un’acqua minerale, la Surgiva. E la grappa, Signana. Al core business, che fa capo alla Lunelli Spa, si affiancano attività collaterali, gestite dalla holding di famiglia: a partire dai vigneti e dalle proprietà immobiliari, che, come dicono gli esperti, in un’azienda vitivinicola moderna dovrebbero essere scorporate dall’azienda operativa.
Degli oltre 61 milioni di euro di fatturato il 12% arriva dall’estero. Una percentuale che sale al 19% per tutta la Trento Doc. I beni di lusso, dicono le rilevazioni, crisi o no, tengono. Fanno scuola gli Usa, contribuiscono al trend Russia, Cina e persino Corea. “I mercati emergenti sono interessanti, hanno non solo nuovi ricchi ma una consapevolezza della qualità e dei marchi crescente”, racconta Lunelli. E’ dunque arrivato il momento di sferrare l’attacco decisivo. Con una strategia precisa: puntare a sfruttare le sinergie tra i marchi dell’eccellenza del made in Italy per amplificare l’impatto in termini di immagine sotto l’ombrello di Altagamma, l’associazione che raccoglie e integra le strategie di comunicazione del lusso di tutti i settori.

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