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La Repubblica / Affari&finanza

Vino, l’Aglianico di Venosa conquista il New York Times ... Da Venosa, in Basilicata, al New York Times: l’Aglianico della cantina sociale di questo paesino a due passi da Matera è risultato il numero uno tra i rossi a base di questo vitigno autoctono del sud. Un vitigno che gli esperti del prestigioso quotidiano americano definiscono una scoperta, tenuta troppo tempo all’ombra, oscurata dai più celebrati Chianti, Brunello e Barolo: “Ed è una vergogna”, scrive Eric Asimov, noto critico del quotidiano. Tutto merito della cooperativa sociale che è riuscita a imporsi sul mercato nazionale ed estero, facendo sistema, mettendo insieme tanti piccolissimi produttori. Un miracolo per questo angolo di sud, la Basilicata, dove ancora oggi il limite principale alla crescita del territorio è rappresentato proprio dall’estrema frammentazione della proprietà agricola come di qualsiasi altra iniziativa. Ognuno si tiene stretto il suo fazzoletto di terra, ognuno procede per conto proprio. E per campare, negli anni 60 si emigrava. Negli anni 80 e 90 sono arrivate la Fiat, la Barilla e la Parmalat, è cresciuta la Natuzzi, e le nuove generazioni sono rimaste a casa. Ma la Natuzzi ora è andata a produrre in Cina, la Fiat ha passato un brutto momento, e la Parmalat ha avuto i suoi scandali finanziari. La Cantina sociale di Venosa che ha puntato sul patrimonio locale, i prodotti della terra, dal 1957 ad oggi non ha mai perso un colpo. Con il suo Carato Venusio, etichetta di punta in cima alle guide di settore, ha portato la fama dell’Aglianico del Vulture in nord Europa, Inghilterra e Danimarca in testa, paesi molto esigenti in fatto di vino, ed è sbarcata in Usa. A Venosa - città natale del poeta romano Orazio - oltre 900 ettari di vigneti sono il patrimonio di 500 soci: il più grande ha 15 ettari, il più piccolo 300 are, ma tutti insieme hanno dato vita alla più grande tenuta del posto. All’inizio i soci erano 12 e si vinificava nelle antiche grotte del paese. Poi il primo stabilimento, negli anni 80. La grande svolta c’è stata nel 2000, con l’arrivo del presidente Teodoro Palermo, che ha deciso di lanciare le proprie etichette invece di vendere uve e vino da taglio per i grandi Baroli, Brunelli e Amaroni del nord. Due milioni e mezzo di euro di investimenti e il “progetto bottiglia” come è stato ribattezzato, ha portato un vino, il Vignali, l’etichetta base che costa solo 10 dollari, fin sulle pagine del New York Times.

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