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La Repubblica / Affari&finanza

La favola a lieto fine del pecorino di Farindola ... C’è una favola nei supermercati che ricorda quella del Chievo, la piccola squadra di un quartiere veronese capace di scalare un pezzetto alla volta tutta la gerarchia del calcio, dai campionati minori alla serie A, fino ad arrivare alla soglia della Champions League. E’ la storia del pecorino di Farindola, formaggio passato dalla produzione in pochi esemplari e dal rischio di estinzione agli scaffali della maggiore catena della grande distribuzione italiana. La Coop, nell’ambito della politica di promozione dei prodotti tipici, si appresta infatti a commercializzare su scala nazionale il pecorino di Farindola con il marchio “fior fiore”.
E se è vero che il Chievo ultimamente non se la passa tanto bene, Sergio Soavi, responsabile nazionale Coop per i prodotti tipici, è convinto che il futuro di questo formaggio sarà invece ancora ricco di soddisfazioni.
“E’ unico - racconta - perché per produrlo viene utilizzato caglio di maiale, un’autentica rarità. Si produce in quantità limitatissime in una ristretta area del versante orientale del Gran Sasso. La preparazione del caglio suino ha origini molto antiche, risale all’epoca romana, e ancora oggi è prerogativa esclusiva delle donne, che si tramandano la ricetta di generazione in generazione. Il latte è munto a mano da pecore di razza Pagliarola Appenninica, allevate allo stato brado sui pascoli appenninici, che producono quantitativi molto limitati. Tutte le forme sono etichettate dai produttori, riportando anche il nome della donna che ha fatto il formaggio”.
Per arrivare a salvare il pecorino di Farindola e poi a farlo conoscere è stato necessario però un forte impegno.
“Le condizioni igienico sanitarie in cui veniva prodotto originariamente - ricorda Soavi - non erano compatibili con una commercializzazione su più larga scala, per questo è stato necessario lavorare a fondo per mettere in piedi una filiera, per quanto piccola, in grado di affrontare il mercato aperto”.
Altro caso emblematico dei processi che è possibile attivare attraverso la sinergia tra una grande distribuzione attenta e sensibile e i piccoli produttori di alimenti tipici è rappresentato dalla storia del Dolcetto Dogliani a marchio Coop, un vino doc della provincia di Cuneo. “Il mercato del vino - spiega ancora Soavi - è un mercato frantumato tra centinaia di produttori. Ogni anno vengono prodotte 170 mila etichette. I vini tipici oscillano tra i 600 e gli 800, nei nostri superstore abbiamo assortimenti da 300 a 450 bottiglie, numeri da enoteca, ma con la difficoltà di non avere un addetto fisso. In queste condizioni è difficile far conoscere i prodotti. Così abbiamo provato a realizzare qualcosa con il nostro marchio che ne garantisse la qualità. Il tentativo è caduto sul Dolcetto Dogliani. Abbiamo chiesto a cinque piccoli produttori di collaborare per fare una bottiglia dedicata a noi da presentare sul mercato del Nordovest. Da due anni questo vino, in vendita a 5 euro, vince il premio per il rapporto qualità prezzo tra le etichette sotto 10 euro. Ne vendiamo 30 mila pezzi e siamo pronti ad allargarci a Milano”.

Altra storia a lieto fine è quella dei prodotti di Libera Terra, l’associazione fondata da don Luigi Ciotti per raccogliere le cooperative che nel Mezzogiorno coltivano prodotti tipici sulle terre confiscate alla mafia. Partite tra mille difficoltà e con una forte dose di utopia, grazie anche alla sponda offerta dalla Coop, pasta, vino, legumi, farine e conserve di Libera Terra sono presenti oggi sugli scaffali di tutta Italia. Prodotti che uniscono alla tipicità e alla coltivazione con metodi biologici un ulteriore valore aggiunto, quello della legalità, grazie al ritorno alla produttività di campi sottratti ai boss in Sicilia come in Calabria. “Va rivalutata e messa in grado di operare un’altra economia che tenga conto non solo di noi ma degli altri, non solo del qui ma dell’altrove, non solo dell’oggi ma del domani - ricordava tempo fa don Ciotti - Un’economia per l’essere e non solo per l’avere, che metta il maggior numero di persone nella condizione di vivere una vita serena e dignitosa, liberandole dalla povertà, dallo sfruttamento, dalle ingiustizie. La creazione delle nostre cooperative ha perseguito quest’obiettivo, pur nell’esigenza di misurarsi con il mercato costruendo realtà imprenditoriali vere, posti di lavoro, ricchezza sociale”.

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