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La Repubblica / Affari&finanza

In Piemonte vince soprattutto l’eccellenza ... Un settore dai numeri importanti (70mila occupati, metà dei quali nel cueese, un fatturato di 3,4 miliardi) che ha nell’export, soprattutto dei vini, uno sbocco decisivo. Ma che vede in gravi difficoltà sia il caseario che il cerealicolo mentre frena la carne di Razza Piemontese... La produzione eccellente, dai formaggi dop come il Castelmagno ai vini blasonati, Barolo e Barbaresco in testa, non conoscono crisi. Sulla scia della filosofia Eataly, il mercato enogastronomico degli alti cibi (esperienza che dopo Torino è già stata esportata a Milano, Bologna e Tokyo), tutto ciò che è considerato prelibato, certificato, controllabile e di prima qualità non perde terreno sul mercato. Ma si tratta di una nicchia, importante, che accresce anche l’immagine in generale dell’industria agroalimentare piemontese, ma non rappresenta l’intera platea di chi vive attorno al comparto che arranca.
Un settore che occupa circa 70 mila persone, la metà circa nel Cuneese, e ha un fatturato pari a 3,4 miliardi di euro. Si tratta di numeri importanti: 1.068.000 ettari di superficie agricola utilizzata, di cui un terzo con sistemi ecocompatibili e biologici, 9mila aziende agroindustriali che danno lavoro a 40 mila addetti, senza considerare la distribuzione, 300 cooperative.
Un comparto orientato verso l’export, ad iniziare da Germania, Francia e Stati Uniti, su prodotti come il vino, dove si contano 14 docg e 42 dop. E poi i nove formaggi tipici, dal Castelmagno al Bra, dalla Robiola di Roccaverano alla Toma, dal Raschera al Murazzano, e i 370 prodotti agroalimentari tradizionali censiti e riconosciuti dalla Regione, tra cui 72 tipi di carni, 55 formaggi, 110 ortofrutticoli e 72 bevande e distillati. “Ma la crisi dei consumi insieme a difficoltà strutturali di alcuni filoni si fanno sentire - sostiene Mino Taricco, assessore all’Agricoltura della Regione - e anche nella gamma alta di prodotto si sente un rallentamento con un calo degli ordini”.
Non tutti i comparti si muovono allo stesso modo. La frutta e il vitivinicolo tengono grazie ai Paesi esteri. “Per paradosso - spiega Taricco - fosse per il mercato interno il quadro sarebbe peggiore. Soprattutto il vino è un settore che negli ultimi venti anni ha lavorato così bene e si è strutturato in maniera ampia tanto da affrontare anche le crisi più difficili”.
A penare di più sono il comparto caseario e il cerealicolo. Il prezzo del latte alla produzione non si muove e il calo dei consumi, soprattutto formaggi, ha fatto il resto. Ed in questo particolare filone anche i prodotti più ricercati sentono le difficoltà: “In un momento di contrazione di consumi le famiglie non vanno tanto per il sottile - spiegano nelle aziende - per cui alla qualità si predilige il prezzo più basso”. Crisi nera per il cerealicolo, dove i costi di produzione sono andati alle stelle, mentre i prezzi, alti fino allo scorso anno, si sono dimezzati.
Risultato? “Si è investito molto - spiega Vittorio Viora, presidente di Confagricoltura Torino - ma i risultati sono negativi. I raccolti inoltre si sono rilevati decisamente più scarsi dello scorso anno. Serve una politica agricola che ponga le basi per un solido rilancio del settore, intervenendo con misure in grado di incidere a livello strutturale”.
I problemi sono noti: dimensione delle imprese troppo limitata, necessità di favorire il ricambio generazionale, anche se sono duemila i giovani che si sono fatti avanti per sostituire altrettanti titolari di aziende in procinto di andare in pensione, più sperimentazione, soprattutto nel settore delle biotecnologie, e costruire nuovi scenari commerciali. “L’agricoltura in Piemonte - sottolinea Viora - non è solo quella dei prodotti di nicchia e della salvaguardia dell’ambiente: il settore produttivo ha bisogno di interventi incisivi per favorire l’impiego di manodopera, per far crescere il livello delle produzioni e per incentivare le esportazioni sui mercati internazionali”. Di diverso parere il numero uno di Coldiretti, Giorgio Ferrero. Sul quadro delle difficoltà concorda, ma per uscire dalla crisi e rafforzare il comparto traccia soluzioni differenti: “Bisogna qualificare di più la produzione - dice il presidente dei berretti gialli della regione - l’anonimia del cibo non paga e soprattutto nei momenti di difficoltà non regge la concorrenza al massimo ribasso. Meglio quindi sviluppare un modello alternativo alla massa e alle piattaforme, sostenibile a livello ambientale, che abbia al centro il sistema locale”. E non è solo una questione di eccellenza: “Deve esserci uno sforzo culturale - sostiene Ferrero - il mangiar bene, l’alimentarsi con prodotti di qualità alla fine è un risparmio per il sistema Paese, mentre oggi abbiamo la fila negli hard discount, complice la crisi”.
Anche la Regione, che nel settore zootecnia conta circa 18 mila aziende, vuole puntare sulla qualità comunicando le differenze. E sperimenterà una prima campagna su un prodotto diventato ormai di grande consumo, tanto da essere entrato un po’ in crisi: la Razza Piemontese. Un tipo di carne che negli ultimi dieci anni ha preso piede, tanto che molti allevatori hanno deciso di buttarsi sull’affare. Ma senza un allargamento del mercato, non essendoci stato un ampliamento della rete commerciale, prezzi e fatturati sono scesi. E le imprese si stanno attrezzando per recuperare margini con l’aiuto della Regione: “Investiremo in una campagna di comunicazione per far emergere la differenza sulla qualità della carne della Razza Piemontese rispetto ad altre tipologie - spiega Taricco - e sosterremo le imprese che vogliono cimentarsi in servizi aggiuntivi. Oggi le necessità dei consumatori sono cambiate, vogliono prodotti già confezionati per essere cucinati, per far questo però è necessario investire nella lavorazione. Se dalle associazioni di settore e dai produttori ci verranno presentati progetti seri faremo la nostra parte”.

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