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La Repubblica / Affari&finanza

Agroindustria, piccola sfida ... Il settore ha evidenziato una capacità di resistenza alla congiuntura e anche l’export è positivo. Resta il nodo di un sistema dominato da realtà di dimensioni ridotte: che però potrebbe diventare un vantaggio... Spumante, zamponi e mandarini. Nel desolante panorama degli indicatori congiunturali sui contraccolpi che la crisi internazionale infligge anche alla nostra economia, una nota di conforto è giunta nei giorni scorsi dai primi dati sui consumi alimentari degli italiani durante le recenti festività. Secondo le indicazioni diffuse dal ministero delle Politiche agricole, la spesa è cresciuta del 5% in termini nominali con una solo lieve flessione sulle quantità (-0,5%) connessa ad un riposizionamento della domanda a favore dei prodotti italiani di qualità. Lo sciopero dell’ananas e l’operazione capitone sicuro hanno, quindi, funzionato. I primi (dati sui consumi natalizi confermano le statistiche diffuse in dicembre su esportazioni e produzione industriale. Tra gennaio e ottobre 2008 la produzione industriale di tutti i settori è scesa su base annua del 2,9% ma solo dello 0,7% nel caso dei prodotti alimentari.

Particolarmente rilevante è la performance dell’export. Nei primi dieci mesi del 2008, secondo quanto calcolato dal Servizio Studi di Bnl sulla base di dati lstat, le esportazioni italiane di prodotti agroalimentari sono cresciute del +10,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente con un aumento rispetto al +6,4% regi strato nell’intero 2007. Parallelamente, tra gennaio e ottobre 2008 le importazioni dall’estero di prodotti agroalimentari sono cresciute su base annua del 6,8% rispetto al +2,8% del 2007. L’export agroalimentare ha accelerato mentre il totale delle nostre vendite di merci all’estero rallentava, scendendo al +3,7% del periodo gennaio-ottobre 2008 rispetto al +8% dell’intero 2007. L’accelerazione dell’export di prodotti agricoli e alimentari ha permesso all’Italia di contenere il deficit complessivo agroalimentare che il nostro paese strutturalmente accusa. In termini di saldo normalizzato ovvero, in proporzione alla somma di import ed export - tra gennaio e ottobre 2008 il deficit agroalimentare dell’Italia è sceso al -14,9% rispetto al -16,5% del 2007.

Contrastare la crisi con la qualità e una maggiore conoscenza del valore del made in ltaly è la strada che, prima di altri comparti, il settore dell’agroalimentare appare aver imboccato. E’ certamente una strada lunga ove, oltre ai problemi della congiuntura, ci sono alcune importanti sfide strutturali che il settore è chiamato ad affrontare. Un recente rapporto curato da Nomisma individua nella competitività il tema fondamentale del cambiamento strutturale in atto nel settore dell’agricoltura e dell’agroalimentare.

Nel caso dell’Italia, i dati strutturali descrivono un’impresa agricola che ha dimensioni medie decisamente minori rispetto ad altre grandi economie europee, ma che è capace di far rendere la terra meglio di altri. I dati di Nomisma parlano di una resa per ettaro che supera i 2.000 euro in Italia contro i 1.240 euro della Francia e i 1.360 euro della Germania. Come in altri settori, la dimensione più piccola che le imprese italiane assumono rispetto a quelle dei paesi concorrenti comporta rischi come opportunità. Guardando al lato mezzo pieno del bicchiere, nell’agroalimentare essere piccoli implica una filiera corta di approvvigionamento, una produzione incentrata sulle materie prime locali e di qualità, una capacità di valorizzazione delle differenze. Non è un caso che l’Italia sia il leader nella classifica dei prodotti tutelati dal marchio di indicazione di origine europea. I marchi Dop o Igp in capo al nostro paese sono 171 contro i 156 della Francia e i 115 della Spagna e rappresentano il 21,3% del totale dell’Unione Europea. La minore dimensione delle imprese agroalimentari italiane può però, costituire un serio vincolo nella proiezione internazionale delle aziende: sotto questo profilo, cruciale diviene il supporto che alle singole imprese può venire dall’ambiente economico e istituzionale esterno e, in particolare, da una “partnership” efficace con gli intermediari creditizi e le agenzie governative.

Più che la dimensione, due appaiono i fattori critici su cui si misurerà in futuro la capacità di accrescere la competitività dell’agroalimentare italiano: multifunzionalità e ricambio generazionale. La multifunzionalità è il carattere portante che il “nuovo modello europeo di agricoltura” assegna all’impresa agricola, specie se di piccola dimensione. Essere multifunzionali nell’agricoltura e nell’agroalimentare vuol dire non solo produrre prodotti agricoli, ma anche servizi per la società come la cura del paesaggio, la gestione di aree ecologicamente deboli, l’offerta di servizi di agriturismo. Multifunzionalità vuol dire anche lo sfruttamento pieno di tutte quelle economie di scopo agibili per l’impresa agricola: dalla trasformazione in azienda dei prodotti agricoli alla produzione, ad esempio, di energia rinnovabile. La sfida è quella di trattenere nell’impresa agricola quote maggiori di valore aggiunto. Nell’ Unione Europea ammonta al 12% del totale la quota delle imprese agricole che già oggi dichiarano di esercitare attività ulteriori a quella primaria. In Italia l’incidenza delle imprese diversificate si ferma, secondo quanto riportato dal rapporto di Nomisma, al 6,1%. Il dato italiano è migliore di quello spagnolo (3,2%), ma c’è ampio spazio per accrescere la multifunzionalità delle nostre imprese agricole. Sotto il profilo del ricambio generazionale, l’analisi di Nomisma sottolinea un’esigenza di ringiovanimento della nostra agricoltura, in Italia il rapporto tra conduttori di imprese agricole con meno di 35 anni e conduttori con più di 65 anni è pari ad appena l’8% contro il 66% della Francia e il 20% della Spagna.

In Germania, per ogni quattro imprenditori agricoli ultrasessantacinquenni, ce ne sono ben cinque con meno di 35 anni. Avvicinare sempre più i giovani all’agricoltura e all’agroalimentare aiuterà a consolidare il tasso di innovazione del settore, sia a livello produttivo che commerciale. Come indica un’indagine curata dal Censis, le aziende agricole guidate da giovani sono anche quelle che puntano sull’innovazione e sono capaci di inserirsi in nicchie di mercato redditizie. L’interesse dei giovani per l’agricoltura e l’ agroalimentare c’è ed è crescente.

Meno sussidi, più competitività. Nel 2013 l’incidenza sul bilancio Ue delle politiche di sostegno all’agricoltura - la famosa PAC - sarà la metà di quanto rilevato nel 1988. Di fronte a questo scenario l’agroalimentare italiano può solo consolidare la propria competitività aumentando la diversificazione e investendo sui giovani.

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