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La Repubblica / Affari&finanza

L’export sostiene gli utili e l’indice batte le Borse ... L’annuale rapporto sul settore di Mediobanca evidenza il miglior andamento delle aziende vitivinicole quotate rispetto al listino generale mondiale E i produttori del nostro paese mostrano un particolare dinamismo di fronte alla congiuntura sfavorevole con vendite all’estero che pareggiano i conti.. Il sentiment non è per tutti negativo e gli indici continuano a essere positivi. Dal rapporto annuale di Mediobanca sul settore vinicolo emerge un quadro a luci e ombre del sistema italiano che, a conti fatti, può ancora ben dire di aver superato bene quella che forse, si spera, ricorderemo come la fase più acuta della crisi. Merito delle esportazioni che hanno consentito di bilanciare in parte la brusca frenata delle vendite: la media di settore si è chiusa infatti con fatturato in crescita dell’1,4% contro i1 6,6% de1 2007. I dati, quello che conta, sono ancora in zona positiva, mentre ben peggio era statala situazione nel 2005, quando l’Italia, per esempio, aveva fatto registrare il segno meno davanti alle vendite. “Nella maggioranza dei mercati esteri il vino non è mai stato una bevanda alimentare, un genere di prima necessità, ma è invece un bene voluttuario, se non di lusso. Consente ai consumatori di fare sfoggio della condivisione di una cultura del bere, di dimostrare l’apprezzamento per uno stile di vita occidentale, di facilitare l’avvio e l’intrattenimento di relazioni sociali e per queste ragioni continueranno a bere”, commenta Angelo Gaja, il produttore piemontese che tra i primi ha portato le nostre etichette nell’olimpo dell’enologia mondiale. Racconta Gaja:”Il vino italiano ha ottime possibilità per competere nelle fasce di prezzo medio e medioalto. I consumatori facoltosi che hanno perso in Borsa delle fortune o che non guadagneranno più come in passato smetteranno di bere buoni vini? Nemmeno per sogno. Se sui mercati esteri nel corso del 2009 ci sarà un calo di consumi di vino italiano, non sarà drammatico e comunque Francia e Australia, i nostri concorrenti più agguerriti, perderanno più dell’Italia”. I dati di Mediobanca confermano il giudizio positivo: l’indice mondiale delle aziende quotate ha fatto meglio delle Borse. E per quanto riguarda i produttori italiani, che non figurano nell’indice, la redditività resta attiva e gli utili pure, seppure ridimensionati. Tanti i fattori che hanno garantito una maggiore tenuta rispetto alle crisi del passato. In primo luogo l’innovazione. Le nuove etichette sono cresciute del 40%, addirittura di 2 volte tra i grandi vini quelli oltre i 25 euro, segno del miglioramento della qualità dell’offerta. Ma l’innovazione non è solo di prodotto, “Chi ha una marca seria, un territorio da proporre al mondo, sta sviluppando modelli di business nuovo”, afferma Lamberto Gancia, della dinastia delle bollicine di Canelli, presidente di Federvini. Controllo diretto della filiera e presenza diretta sui mercati esteri: sono le due direttrici di sviluppo che danno la spinta alle concentrazioni. Giv, gruppo italiano vini, dopo la fusione con le Cantine riunite di Reggio Emilia è balzata al primo posto, seguita da Caviro, Cavit e Mezzacorona: tutte cooperative aderenti a Confcooperative, che puntano a diventare grandi senza perdere l’identità di territorio. L’identità di territorio è il valore aggiunto delle nostre etichette. Quello che sposa vino al turismo, facendo diventare mete internazionali fazzoletti di terra incastonati nelle varie regioni. I mille turismi del vino , appunto, uno dei temi al centro del dibattito al Vinitaly, promosso da Città del Vino e Coldiretti.

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