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La Repubblica / Affari&finanza

Taittinger, la famiglia ritorna all’attacco ... “Ci basta un milione di amici che bevono cinque bottiglie all’anno, prezzi e cicli non ci interessano”, dice Pierre-Emmanuel, direttore della maison tornata di proprietà di un ramo della storica dinastia. Ma Clovis, ambasciatore nel mondo del brand emblema del lusso, non ci metterà molto a conquistarne di più... “L’Italia per me non è un mercato è un bel paese, il simbolo dell’eleganza, dello charme, della tradizione, è la vetrina della bellezza nel mondo”, Clovis Taittinger, 32 anni, ultima generazione della dinastia dei Taittinger, storica griffe di champagne, parla dell’Italia in un italiano quasi perfetto: un paese e una lingua che ha conosciuto fin da piccolo, in vacanza. Oggi in Italia viene per lavoro, ambasciatore di un marchio che, finito nelle mani della multinazionale Starwood, da un paio di anni è tornato in mano alla famiglia che ora vuole rilanciarne tutto il valore che l’ha reso uno dei cinque marchi più prestigiosi al mondo.
Inghilterra, Usae Germania sono i principali mercati di sbocco della maison, che ha 300 ettari di vigneti e una produzione di 5 milioni e mezzo di bottiglie all’anno. Ma l’Italia è uno zoccolo duro, grazie alla collaborazione con Pescarmona, importatore in esclusiva da cinquant’anni. “Avete stile, eleganza, cultura e senso del gusto, senza nessuna ostentazione, un modello di riferimento per il nostro brand”, racconta tra un piatto di foie gras e un calice di Comtes de Champagne rosé 1999: tre bottiglie di questa annata, di provenienza della collezione privata del magnate belga Albert Frère, sono state aggiudicate da Sotheby’s, a settembre, per 1.495 sterline, 2.447 dollari. In pochi attorno al tavolo, in cucina la custode della Marquetterie, lo Château dove questo champagne è stato creato; alle pareti i ritratti degli avi da Jacques Fomeaux, commerciante di vini, che nel 1734 ha fondato la maison, ai giorni nostri, con Pierre Taittinger che ha comprato questa dimora, circondata da filari di Chardonnay, e lanciato il marchio negli anni Trenta. Ci vogliono soldi e anni per lanciare un nuovo brand nel mercato del lusso; nello champagne, il top del “luxury” e del “glamour”, non basta:
l’unica via è comprare una maison già esistente. È quello che ha fatto Bernard Arnault, proprietario di Lvmh, che in portafoglio ha Krug, Dom Perignon, Veuve Clicquot, Moët&Chandon. Sono poche le casate rimaste indipendenti a parte i piccoli produttori. E quando, per motivi familiari, gli asset della famiglia Taittinger sono stati messi in vendita, s’è scatenata la corsa. Un impero del lusso cresciuto attorno alle bollicine, con gli hotel di charme più prestigiosi di Francia, Svizzera e Germania. Tra i pretendenti anche Vija Mallya, l’imprenditore indiano che tra birra e compagnie aeree è diventato uno degli uomini più ricchi del mondo. Ora la produzione di bollicine è tornata a un ramo della famiglia Taittinger. “Ho ricomprato l’azienda per due persone: mio padre, Jean, che è stato un grande personaggio dello Champagne, ministro nel governo di George Pompidour, che con grande tristezza ha assistito alla vendita; e per mio figlio Clovis, per trasmettergli questo patrimonio meraviglioso”, racconta Pierre-Emmanuel Taittinger, alla guida della maison. Spiega: “Non avevo il diritto di dissipare questa eredità, ma dovevo trasmetterla per garantire la continuità”. Non è stato facile: “Abbiamo convinto il Crédit Agricole locale a sostenerci, ma è stata una battaglia dura che è durata oltre un anno e mezzo”, racconta Clovis. La famiglia non ha scelto un momento facile per rilanciarsi sul mercato. La crisi che ha colpito i vini francesi, ha inferto un duro colpo in particolare alle bollicine francesi: negli Usa e Gran Bretagna, finora considerati il barometro del mercato, Moët&Chandon e Veuve Clicquot si vendono scontati di un terzo con l’opzione di prenderne due al prezzo di uno, dicono le ultime rilevazioni di Credit Suisse. In Australia è scoppiata la guerra al ribasso tra i principali retailer di vino. Nella stessa Francia, Carrefour ha pianificato una campagna per vendere a meno di 10 euro bottiglie che lo scorso anno superavano i 12 euro. “Lo champagne fa bene quando le cose vanno male”, si è sempre detto. Ma questa recessione ha cancellato ogni certezza: si è aggiunto un elemento in più, sottolineano gli analisti di Credit Suisse: “spendere tanto non è più fashion”. Ma il futuro si annuncia roseo, ribattono dalla City di Londra gli analisti di Sanford C. Berstein: “Le maison hanno investito tanto nel corso di un secolo e mezzo per costruire l’immagine dello champagne e il potere di questo marchio è enorme”. Territorio particolare, uve più care del resto del mondo ma prezzi più alti hanno finora garantito ottimi margini ai produttori. Spazi da limare, dunque, in attesa di tempi migliori, ci sono. Non solo. Mentre in occidente crollano le vendite, in Asia il mercato del futuro, crescono. Ogni maison ha il suo stile, si dice, l’impronta della casa e chi sceglie un marchio lo beve per sempre. E l’eleganza aristocratica, la cifra delle bollicine Taittinger, è in linea con i tempi. Come l’immagine che rimanda, di un focolare allargato: persino la bella testimonial delle pubblicità è di casa: Vitalie, sorella di Clovis, responsabile della comunicazione. “Non vendiamo saponi o profumi, siamo artigiani e non ci interessa parlare di cicli o di prezzi: ci basta avere un milione di amici per il mondo che beva cinque bottiglie l’anno”, afferma convinto Pierre-Emmanuel Taittinger. Garbato, ospitale ma anche spiritoso e un pizzico stravagante, suo figlio Clovis, l’ambasciatore del marchio, non ci metterà molto a conquistarne anche di più.

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