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La Repubblica / Viaggi

Vivere Slow ... Elogio del brodetto... A Vasto la rassegna dedicata al piatto di mare tipico di questi territori e non solo. Perché ogni cibo è un mix di tradizioni e contaminazioni... Sono più di vent’anni che sottolineo, insieme ai tanti collaboratori e sostenitori di Slow Food, quanto il cibo sia l’espressione della cultura di una comunità e un forte simbolo identitario della stessa. Tengo a precisare, però, che c’è una bella differenza tra questo punto di vista e quello di chi, in nome dell’identità, trascura quel che c’è oltre il proprio campanile e non comprende che un piatto, ad esempio, per tradizionale che sia, è frutto di scambi, d’influenze allargate e di una sedimentazione cui hanno concorso contributi diversi, a volte lontani. Prendiamo il cuscus, specialità che da secoli contraddistingue la gastronomia della provincia di Trapani (che gli dedica, in settembre, un coloratissimo festival con sede a San Vito Lo Capo) oppure il gulasch, praticato nelle nostre regioni del Nordest e diffuso in tutta l’area slava. E prendiamo il brodetto, oggetto in questi giorni (fino al 18 luglio - www.brodettoecontorni.it) di un’interessante kermesse di studi, assaggi, confronti in quel di Vasto, in provincia di Chieti. Bene hanno fatto gli organizzatori, pur fieri del loro brodetto vastese, a intitolare la manifestazione “Brodetto&Contorni”, dove i “contorni” non sono soltanto il mare con il suo pesce, la terra con i frutti dell’orto, l’Adriatico e la terra ferma, ma anche i consumatori, i ristoratori e le comunità sparse lungo il litorale, da Trieste a Termoli, ciascuna con il “suo” brodetto. Senza dimenticare la parentela sparsa in tutto il mondo: dal brodetto di Corfù alla “bouillebaisse” marsigliese, dalla “cassola” sarda al “surath thani” dellaTailandia. Non a caso la proverbiale contesa tra i paesi costieri per attribuirsene la paternità non ha mai celebrato - né mai potrà farlo - vincitori e vinti. Piuttosto, sta a confermare la vitalità di un mito condiviso che, come i racconti orali, acquista coloriture locali. La matrice comune di questa ricetta-canovaccio va senz’altro ricercata nell’usanza di cuocere i pesci a bordo, di regola quelli poveri o quelli sminuzzati dalle reti perché di inferiore valore commerciale, con i pochi condimenti disponibili in barca. Si sono poi sovrapposte la sapienza domestica, le necessità dettate dal pescato, l’elaborazione dei ristoratori. Per entrare nel merito delle numerose varianti del medio Adriatico, si può dire che una certa varietà di pesci dalla carne compatta e la presenza di molluschi (seppia o polpo) e crostacei (la cicala di mare, detta localmente “panocchia”) è tratto comune, così come l’uso del pomodoro più o meno maturo e della cipolla o dell’aglio. I peperoni verdi, il pepe o il peperoncino (quest’ultimo da San Benedetto del Tronto in giù), talora l’aceto, ora utilizzato in modo accentuato ora solo per sfumare, compongono una teoria che, da Pesaro a Pescara, da San Benedetto del Tronto a Vasto, trova interessanti articolazioni. A Vasto, le diverse varietà di pesce si adagiano nella “tijelle”, una bassa casseruola di coccio, in ordine di consistenza e si cuoce il tutto, incoperchiato, per quindici-venti mintiti a fuoco sostenuto. Renato Novelli, di San Benedetto del Tronto, ci racconta, in un libro che rievoca ironicamente la “Teogonia” di Esiodo, il suo “innamoramento” per il brodetto, in una ricerca proustiana del tempo perduto ma densa di riflessioni antropologiche: un altro modo di avvicinarsi, per chi non lo conosce, a questo piatto per scoprirne tutte le sfumature. E per assaggiarlo, magari, a “Brodetto&Contorni” oppure in una delle buone trattorie di Vasto.

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