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La Repubblica / Viaggi

Vivere Slow ... Le società dei Baschi... Da un secolo e mezzo, i “txokos” di San Sebastian e dintorni sono luoghi dove si cucina e si mangia. Un esempio unico di grande socialità popolare... Se la socialità si rivela lo strumento fondamentale per l’espressione di un popolo, allora scegliere di mangiare insieme significa ritornare alle radici del saper vivere comunitario: davanti ai fornelli e poi intorno a una tavola, trovano spazio identità condivise, piccoli riti collettivi in grado di regalare alla quotidianità la chiave d’accesso per il benessere di gruppo. Nei Paesi Baschi ci sono luoghi dove tutto questo avviene da più di centocinquanta anni, secondo usi ampiamente regolamentati e logiche quasi istituzionali: le chiamano “società gastronomiche” e ne contano più di 2000 sparse sul territorio, tra le province autonome di Gipuzkoa, Bizkaya e Alava. Nascono allaf ine del XIX secolo, in pieno clima di riforma urbanistica della città di San Sebastian, evolvendo dal concetto di società popolare, tradizionalmente impegnata a gestire uno spazio ricreativo per il dopolavoro degli associati e a fornire servizi di natura culturale, benefica, artistica o festiva per la comunità. Con l’avvento del Novecento l’elemento gastronomico si fa preponderante: soprattutto durante il periodo franchista, l’esplosione di tale forma di associazionismo arriva in risposta alla duplice necessità di coniugare la passione per la cucina all’impiego del tempo libero e di poter contare su uno spazio di incontro autonomo, lontano dalla vita professionale e dal pressante regime politico vigente. Oggi la formula organizzativa dei “txokos”, “piccoli buchi”, così come vengono chiamate affettuosamente le “sociedades” in lingua euskadi, è rimasta pressoché inalterata: un gruppo ristretto di individui, fino a 150 in alcuni casi, fonda la società, dandosi uno statuto normativo al quale a tutti i soci spetta strettamente attenersi; la sede del “txoko” è fornita di una cucina in grado di ospitare diversi “cocineros” e di una piccola dispensa da cui ogni socio può attingere vini, conserve, salacche e altri generi non deperibili, previo pagamento di un corrispettivo in denaro. Le “cuadrille”, gruppi di soci avvicinati da amicizia o interessi professionali o culturali condivisi, prenotano un numero definito di posti al “txoko”, acquistano la materia prima necessaria alle preparazioni cui provvedono personalmente senza scopo retributivo, servono le pietanze autonomamente e banchettano, quindi annotano le spese e le dividono, destinando una parte di queste al pagamento di un forfait per la gestione del locale. Un tempo l’affiliazione al “txoko” avveniva per consanguineità e l’ingresso era riservato ai soli uomini, retaggio di una tradizione che soleva opporre il matriarcato casalingo alle congreghe maschili dedite alle sidrerie e alle taverne: oggi le ammissioni alle società sono più elastiche, sebbene comportino lunghe liste d’attesa, e l’apertura al pubblico femminile è un processo ampiamente sdoganato, a eccezione degli esemplari più conservatori. Ogni socio possiede una chiave per l’accesso, perché nel “txoko” si mangia e si vive, tra un apartita di “mus” (gioco di carte famosissimo tra i tavoli baschi) e una “sopa de pescado”: e nella comunione di interessi, la gastronomia si riscopre dispositivo democratico d’evasione, alibi individuale per la creazione collettiva. In fondo, credo che mangiare insieme faccia parte di tutto questo: non solo socializzare, ma fare società, riconoscerne i principi comuni alla luce di un comune sentire, come una terapia di gruppo che passa attraverso la partecipazione attiva, la fiducia reciproca, la condivisione di spazi vitali.

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