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La Repubblica / Viaggi

Vivere Slow ... L’ozio di campagna... C’era una volta la casa dei nonni contadini dove si “villeggiava” a tu per tu con la natura. Ora è di moda andare lontano. Eppure... Per tutto l’Ottocento e buona parte del Novecento tra chi poteva permettersi una “villeggiatura” era di moda andare in campagna poco fuori città. Allora erano altre campagne, i vacanzieri erano dotati di ville o dimore molto confortevoli e anche sfarzose, ma non è stato infrequente per i meno ricchi tornare nella vecchia casa di campagna di cui si era mantenuto possesso dopo aver smesso i panni del contadino ed essersi trasferiti in città. In molte delle nostre zone rurali ci sono ancora queste belle case da signori (spesso anche abbandonate) che ci parlano di un turismo allora agli albori profondamente diverso da quello attuale. Oggi le mete sono altre e l’idea di vacanza mira soprattutto a luoghi più esotici o “avventurosi”. Ci sono voli low cost a iosa, viaggiare è diventato più facile ed è così che siamo finiti con il non sentirci in vacanza se non ci imbarchiamo su un aereo, una nave, un traghetto e se non varchiamo confini, che siano regionali, nazionali o continentali. L’etimologia della parola “vacanza” ci dice che il tempo delle ferie dovrebbe essere vacuo, vuoto, ma oggi cerchiamo di riempirlo il più possibile, bisogna muoversi, spostarsi, anche con una certa insana frenesia. Allora mi vien da pensare a quel vecchio tipo di vacanze in campagna, spogliandole dei loro elementi elitari. Penso ai tempi dilatati (molto slow) che sapevano garantire, al dolce far niente, al leggere, all’assaggiare cosa il territorio ha da offrire. Soprattutto mi chiedo quanto sappiamo delle nostre regioni di appartenenza, delle nostre campagne. Rischiamo di avere nuove generazioni che conoscono a menadito il centro di Berlino, Parigi e Barcellona e poi non sanno raggiungere una trattoria fuori porta o il luogo dove sono nati i propri bisnonni a pochi chilometri di distanza. Può essere una sana alternativa, anche per una vacanza breve, quella di esplorare le nostre zone rurali. Di abituarci a capirle, ripercorrerne la storia attraverso la memoria di chi le abita, frequentarle. Riappropriarsi della campagna in maniera vivace e intelligente, per goderne e al contempo garantirsi vero tempo vuoto, vero relax lontano dalle bolge vacanziere. Spesso abitiamo a pochi passi da posti che ci possono riservare sorprese insospettabili. Io per esempio, e faccio ammenda, non so ancora abbastanza del Monferrato. Le belle colline non molto distanti da Torino e da Bra, dove abito. Mi è capitato di visitare Capriglio, un piccolo centro nell’astigiano dove mi sono fatto degli amici anche per via del loro peperone, che è diventato un Presidio Slow Food. È un ortaggio molto rustico e di origini antiche, che una volta spopolava nei mercati piti vicini. Poi si è un po’ perso con la globalizzazione dell’ortofrutta e così nella piccola Capriglio, quasi nascosta e dimenticata, sono pochi quelli che ancora lo coltivano e magari mettono in conserva con le vinacce, metodo tradizionale e sensato in una zona di produzione vinicola. A Capriglio resiste una biodiversità che consta di boschetti e coltivazioni, che non è stata strappata via come altrove dalla monocoltura della vite. Non c’ero mai stato pur avendo girato mezzo mondo e mi sono sentito bene, quasi meglio che a casa, senz’altro vicino a casa, e in campagna. Mi sembra un luogo ideale per una vacanza, come ce ne sono a migliaia in Italia.

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