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La Repubblica / Viaggi

Portogallo. Lungo il fiume tra le vigne ... Si può navigare a bordo dei “rabelos”, le vecchie barche dal ventre piatto, o viaggiare sui treni a vapore che corrono paralleli al Douro. E poi fermarsi a bere, mangiare o dormire in una “quinta”. Benvenuti nella regione slow... La vigna più antica del mondo e quella più giovane. La stessa terra scura, che prima trattiene le temperature africane dell’estate, poi s’inzuppa delle piogge atlantiche, liberando il microclima perfetto. In una piccola valle incantata, specchiata in un fiume silenzioso, attraversata da un trenino a vapore che ancora sbuffa. Il mare e Oporto sono cento chilometri e mille insenature più in basso, ma è qui che tutto è cominciato. La storia di un vino che ha duemilacinquecento anni e un giorno di vita appena. Nella valle del Douro, a nord del Portogallo, tra i tralci che l’Unesco ha eletto a patrimonio mondiale dell’umanità. Dove i fenici cominciarono a coltivare l’uva, e le tracce sono ancora lì. Dove da sempre si raccolgono i grappoli che a valle, con la giusta dose di acquavite e le carezze del tempo, diventeranno il leggendario porto. Qui, dove a metà del XVIII secolo il Marchese di Pombal fondò la Compagnia Generale delle Vigne dell’Alto Douro, introducendo con un decreto - siamo nel 1756 - il concetto moderno del doc. E dove da venticinque aimi, complice l’entrata nella Ue, la gente del posto ha cominciato una nuova avventura e si è messa a produrre e imbottigliare in proprio il suo vino. Che non diventerà Porto, non solo. Bianco come i vitigni Codega, Carrega, o Fernao Pires. Rosso come il Touriga, il Mourisco, il Tinta Carvalha. Fresco, potente e intenso come questa terra, punto di riferimento mondiale dell’enoturismo e accogliente tutto l’anno. La si può navigare a bordo dei “rabelos”, le antiche barche dal ventre piatto che per secoli hanno caricato e sceso a valle i barili di vino sfidando il corso impetuoso e le strette anse: oggi, grazie a sei sbarramenti artificiali, il fiume s’è allargato e fatto tranquillo, dalla tolda si può osservare tutto intorno il panorama mentre da occidente rimonta una piacevole brezza atlantica. Oppure muovere dalla città e viaggiare lenti sui treni a vapore e diesel che corrono paralleli al Douro, godendosi il paesaggio e sostando in stazioncine dalle pareti coperte di ceramiche, come gli azulejos di Pinhao. O ancora, girare più comodamente in auto e ammirare le verdissime colline terrazzate, i muretti di pietra che ricordano quelli liguri, i resti di quei filari stretti che prosperarono fino alla fine del XIX secolo e all’epidemia di filossera, una maledizione che tutto distrusse prima dell’ennesima rinascita. Viaggiare e fermarsi nelle suggestive quintas, le fattorie dove è possibile mangiare, dormire, degustare (anche l’olio locale) con qualche mandorla salata, visitandole cantine. Ascoltando racconti di vino vecchi di secoli, di millenni: perché dopo i fenici furono i romani, e poi gli arabi. Perché cento anni fa era un’impresa lanciarsi tra aprile e ottobre con cinquanta barili stipati su una barchetta di legno e tornare controcorrente, trainati dagli animali da terra. Perché dal decreto del marchese al 1986, il vino giovane del Douro doveva obbligatoriamente finire tutto a Oporto, e invecchiare, e invece adesso si commerciano cinquanta diverse varietà di vino e i produttori sono 33mila. Fattorie come la prestigiosa Quinta do Crasto - quasi un milione di bottiglie, e un prossimo esordio sul mercato italiano - o la Quinta Nova, in un podere del XVIII secolo, o ancora la Quinta da Pacheca, che ha una storia di quasi seicento anni. La Quinta do Vale do Meao è un po’ più a nord nell’Alta valle del Douro: qui la Ferreira produce il Barca Velha, il vino preferito dal portoghese più famoso del momento, quel José Mourinho che nella vicina Oporto ha scritto le prime, decisive pagine della sua carriera sportiva. Ma storie così, nella Valle del Douro, ne trovate quante volete: sono cominciate duemilacinquecento anni fa.

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