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La Repubblica / Viaggi

Vivere Slow ... Esplorando Madrid... Oltre al Prado e ai grandi musei: la “Taberna Laredo”, il posto più dinamico della capitale spagnola. Tradizione e gastronomia iberica... A Madrid, per cercare un buon riparo dalla calura e passare qualche ora slow in ammirazione di cose belle, i musei sono sempre un ottimo approdo. Nonostante fosse la mia terza visita, il Prado si è come al solito rivelato un gran piacere: da segnalare le attuali mostre temporanee su Goya, il giovane Ribera e su Roma vista attraverso paesaggi del XVII secolo. Poi ho scoperto l’interessante e ricca collezione del Thyssen-Bornemisza, museo a pochi passi dal Prado, che vale una visita attenta e approfondita. In un viaggio nella capitale spagnola però non ci si può esimere dalla ricerca di buoni ristoranti e taverne. L’amico Carlos Delgado, critico gastronomico locale, ha voluto a tutti i costi che provassi la “Taberna Laredo”, secondo lui il posto più dinamico e di qualità oggi in città. Non me lo sono fatto ripetere e devo dire che Carlos ha ragione: è sicuramente il posto migliore, per certi versi piuttosto innovativo. Ma non aspettatevi le evoluzioni “sifonate” della scuola di Adrià e compagni che ha cambiato i connotati dell’alta gastronomia mondiale: siamo pur sempre in una “taberna”, anche se si discosta dal modello tradizionale, confortevole e inossidabile, pur se un po’ datato, che descrissi quando raccontai della Bodegas Roseil. Il locale dei tre fratelli Laredo si può definire analogo a molte nostre osterie di qualità, che si sono evolute con il tempo e in qualche modo affinate, rendendo la loro proposta meno casereccia e più “ristorantizia”, concedendosi a una modernità semplice e di buona sostanza. La proposta si trasforma in quello che si può chiamare una cucina” di prodotto”: niente di meglio che vi possa capitare. Credo che a Madrid non ci sia altro luogo in grado di selezionare così bene le materie prime. È proprio ciò che colpisce andando dai Laredo, sia che si consumino i piatti sotto forma di “tapas” alla “barra” - il bancone - o sui tavolini alti nell’ingresso, sia che ci si sieda nella sala ristorante dove si svolge il servizio con vere e proprie portate. Siamo nella tradizione con qualche scappatella, ma il fil rouge restano gli ingredienti: una selezione di “jamon de bellota” che non ho mai visto e assaggiato altrove, le conserve, “chuletillas de conejo” (costolette di coniglio) strepitose, uovo “revuelto” (strapazzato) con “morcilla” (sanguinaccio) oppure caviale e canocchie, i classici “chipirones a la plancia”, o acciughe del Cantabrico, ostriche e molto altro. Si può spaziare tantissimo, la proposta è quanto mai varia e per un pasto normale è difficile superare i 50 euro a testa. E non c’è un solo piatto che deluda e non conquisti all’istante. Perfino le insalate sono degne di nota. Il tutto a fronte di una carta dei vini che non ho mai visto in un locale di questa tipologia. Fatevi guidare da Javier che sta alla “barra”, o da Miguel in sala (il terzo fratello, David, lavora in cucina): c’è il meglio della produzione spagnola e internazionale, ma soprattutto se parliamo di vini iberici si rischia di perdersi. La selezione è molto attenta ai vini minori, da vitigni autoctoni, assolutamente sconosciuti ai più se non dagli esperti di Spagna: rivela un potenziale enologico che va molto al di là dei soliti nomi che girano. Si tratta di una rinascita tutta da provare in questa taberna che rappresenta una sensazionale terza via tra l’alta gastronomia iberica che ci siamo abituati a conoscere e la grande tradizione che resiste con orgoglio nella Spagna più profonda.

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